DIOCESI – Giovedì 5 Febbraio, come ogni primo giovedì del mese, la S. Messa pomeridiana, al monastero delle Clarisse di San Benedetto del Tronto, è stata dedicata in special modo alla preghiera per le vocazioni.
(Ricordiamo che il prossimo appuntamento al Monastero sarà domenica 8 alle ore 15.30, per il 5 incontro di scuola di preghiera).
La celebrazione, presieduta dal nostro Vescovo Carlo è stata molto sentita e partecipata.

Riportiamo le parole pronunciate dal Vescovo nella sua omelia: “Questa sera preghiamo in modo particolare per le vocazioni, soprattutto per quelle di speciale consacrazione. Il brano del Vangelo di Marco si presta esattamente alla nostra preghiera, per stimolarla e aiutarci a riflettere sulla chiamata del Signore. Scrive Marco: “in quel tempo Gesù chiamò a sé i Dodici”.
Il primo atteggiamento di preghiera è, per ciascuno di noi, metterci  in ascolto e coltivare la prontezza a discernere quanto il Signore ci chiede. Pregare per le vocazioni è, innanzitutto, pregare perché ciascuno di noi possa vivere bene la propria vocazione, e comprenderla alla luce del Signore.

Gesù chiamò a sé i Dodici e li mandò a due a due: questo ci dimostra che la Chiesa non è una realtà individuale, la fede non si può vivere da soli, ma sempre in comunione. È per una ragione teologica che la nostra fede non rimane a livello individuale, diventando chiusura in noi stessi: va innanzitutto condivisa e vissuta all’interno della comunità, per poter essere poi trasmessa agli altri.

Gesù ci invita a non fidarci di nient’altro che dell’amore di Dio. Su cosa possiamo contare nella nostra vita? Non su quello che abbiamo nel portafoglio, ma sulla Parola di Dio, e soltanto quando comprendiamo questo siamo in grado di capire anche la nostra vocazione e così entrare davvero nel dinamismo della vita cristiana. Finché la Chiesa conta sulle cose esteriori, che sono anche necessarie, ma non così importanti, si spegne nel suo fuoco interiore, nella fede. Ecco perché Gesù dice “non portate né pane, né sacca, né denaro nella cintura”: è sicuramente un’espressione forte, per condurre al nucleo essenziale.

La fede non è qualcosa da tenere nascosto, ma l’unione con Dio: quando un cristiano ama, non tiene nascosto il proprio amore. Da questo, un altro pensiero che viene dalla prima lettura, nella lettera agli Ebrei si spiega che dobbiamo far convergere tutto su Gesù. Ci interroga, “non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole”.
Quando noi partecipiamo alla Liturgia e ai Sacramenti, su cosa si incentra la nostra attenzione? Sul vestito, sui fiori, sull’organizzazione della funzione…?
Rischiamo di concentrarci sulle cose esteriori e dimenticare che il centro di tutto è Gesù; potremmo paradossalmente essere spogli di tutto, ma ciò che importa veramente è la possibilità di incontrare il Signore. Anche la lettera agli Ebrei ci invita a comprendere per cosa il Signore ci chiama e cosa ci vuol donare.
Dobbiamo essere capaci di staccarci dalle cose esteriori, di togliere tutto ciò che ci allontana, altrimenti tutto diventa “spettacolo”. Quando noi cerchiamo il Signore in questa maniera, viviamo con autenticità la nostra vita cristiana e diventiamo disponibili a seguirlo laddove Lui ci chiama, sempre per il nostro bene.

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