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A tu per tu con Suor Alfonsa: “La gioia dell’USMI è lo spirito di fraternità e solidarietà tra le comunità della diocesi”

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Di Floriana Palestini

DIOCESI – In una domenica di pioggia, con un cielo grigio, nulla faceva sperare per una bella giornata. Nella penombra dell’Istituto delle suore Battistine mi apre la porta un viso con un sorriso e due occhi che illuminavano tutto. Questo mi ha colpito di suor Alfonsa: i suoi occhi azzurri e splendenti come il mare della sua terra, la Campania, vogliono essere fissati ed è fissandoli che sento viva dentro di lei l’emozione dell’incontro con il papa, la gioia di far parte della grande famiglia della nostra diocesi, la passione che la spinge ad amare ciò che fa e svolgere il suo compito in maniera dignitosa ed umile.

Da quanto tempo svolge questo compito?
Ho iniziato nel 1987, ma sono entrata nella congregazione delle suore san Giovanni Battista nel 1964. Dio si è fatto sentire in me in un modo semplice, attraverso un depliant, grazie al quale ho conosciuto il fondatore dell’ordine, Alfonso Maria Fusco, di cui abbiamo quest’anno la canonizzazione. Fui da subito molto colpita da questo sacerdote: inizialmente perché abbiamo il cognome in comune, Fusco, e poi mi colpirono la sua vita e le sue opere, quindi scelsi di essere una battistina. Nel 1954 sono entrata nell’ordine e dieci anni dopo sono stata consacrata. Quest’anno ho festeggiato 50 anni di anniversario, ho avuto anche l’udienza del Santo Padre: mi ha stretto le mani, mi ha fissato quasi pietrificandomi. Ho detto al papa che avevo festeggiato i 50 anni di vita consacrata e mi ha detto tante cose. Alla fine mi ha stretto le spalle, dicendomi: “Sii forte!”. È stato un momento bellissimo che ricorderò per sempre e la sua stretta me la sento ancora addosso. Tornando all’USMI: questa è un’istituzione ecclesiale voluta da Pio XII (papa dal 1939 al 1958), riconosciuta dagli anni ’50. Tutte le superiori hanno sentito il bisogno di riunirsi e da allora abbiamo un fiorire continuo di istituti che si aggiungono all’associazione. Abbiamo un cammino quasi parallelo con la CISM, l’associazione riunisce le comunità maschili, che fa capo a padre Gabriele per la nostra diocesi.

Di quali compiti si occupa?
Io mi occupo di animare, organizzo le attività annuali che abbiamo in programma. Dall’inizio del mio servizio siamo riusciti a creare uno spirito bello di comunione tra le comunità, abbattendo le barriere tra i diversi ordini per cui ogni comunità era a sé; ora quando ci si incontra è una bella cosa. Mi guida un criterio fondamentale in questo servizio: sentirsi chiesa, ne sono convinta. Prima c’è la chiesa, poi c’è il mio istituto; purtroppo le difficoltà ci sono, come l’età e persone che credono di avere già tutto. La giornata del 2 febbraio è stata istituita come Giornata Mondiale per la Vita Consacrata, grazie a Giovanni Paolo II nel 1998. In diocesi abbiamo anticipato questa festa nel 1991 con mons. Chiaretti, che ricordo molto bene perché diede grande spazio alla vita consacrata. Quest’anno la festa sarà il 1°, non il 2 febbraio, e la messa sarà presieduta dal vescovo Carlo; saremo insieme al centro famiglia, col quale collaboriamo molto spesso, all’USMI, alla CISM.

Oltre a questa ricorrenza del 2 febbraio, quale altro momento animate durante l’anno?
Abbiamo in programma l’incontro con le claustrali nel mese di novembre, nella giornata a loro dedicata, che quest’anno si è svolto il 23 novembre. C’è stata prima la riflessione della badessa, poi la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Carlo e infine un momento di festa. Abbiamo degli incontri mensili che si tengono qui, nella sede delle comunità (Istituto San Giovanni Battista, via San Martino, ndr). Gli incontri durante l’anno sono articolati in vari modi: c’è l’incontro per la vita consacrata, l’adorazione in cattedrale per Avvento e Quaresima; era previsto un incontro per domenica prossima 25 gennaio ma sarà spostato. Col vescovo abbiamo anche pensato ad un convegno formativo sulla vita consacrata, aperto a tutti, ma è ancora da definire. Le varie comunità che abbiamo in diocesi, inoltre, svolgono svariate attività, molte delle quali rientrano nella sfera dell’insegnamento. Noi come battistine quasi al 90% svolgiamo attività didattica; quando ho smesso con l’insegnamento ho avuto un momento di disagio, perché lo avevo fatto per tutta la vita e mi sono trovata un po’ spaesata. Mi ha risolto molto la preghiera: in un momento di adorazione ho rimesso in discussione l’appartenenza a Lui e Lui mi diceva: “Ma sei mia o della scuola?” e io gli ho risposto: “No, sono tua per sempre. Quindi dammi tu la grazia di non interferire nel lavoro altrui”. Da quando non ho più la scuola passo volentieri del tempo al centro famiglia, col quale stiamo organizzando la festa del 2 febbraio.

Mostrandomi dei documenti d’archivio ritrova un foglio battuto a macchina che riportava i membri del primo consiglio dell’USMI, datato 30 dicembre 1980. «Come ho già detto, sono in diocesi dal 6 ottobre 1987: all’epoca di questo documento c’era come superiore suor Sabina, già consigliera dell’USMI, con mons. Radicioni vescovo. La superiora mi disse di preparare con lei gli incontri con le altre suore che dovevano arrivare e così mi ha inserito; al consiglio successivo mi hanno nominato consigliera e poi segretaria. Adesso facciamo meno in quanto a iniziative perché siamo di meno e a questo si aggiunge l’età che avanza. L’USMI conta su una media di congregazioni tra 15 e 20, mentre di comunità ne abbiamo da 25 a 30. Le concezioniste costituiscono quasi  il 50% delle comunità in diocesi: ciò è comprensibile se si pensa che vennero fondate non lontano da qui, ad Ascoli Piceno. Altre congregazioni si sono inserite ora e hanno invece una o due comunità in diocesi».

Una comunità che l’ha colpita? Una lontana?
Ho sempre una grande stima delle comunità, sia per quelle di tre persone che per le comunità numerose. Le concezioniste formano un corpo abbastanza unitario, dato il numero con cui sono presenti in diocesi. Di limiti non ne trovo, soprattutto perché si è creato un bel clima di fraternità, uno sforzo compiuto da parte di tutti. Ho sempre fatto questo lavoro con tanta passione perché ritengo che si fanno le cose in cui si crede. Per me la chiesa è al primo posto ed è la chiesa che mi dà la forza per superare le difficoltà, perché siamo corpo di Cristo e popolo di Dio.

Nei comuni di montagna le cose sono diverse rispetto ad altri comuni più grandi?
Dunque la comunità più lontana è la comunità delle Teresiane di Ripatransone; poi c’è la comunità di Force, le piccole sorella della Fanciullezza, composta da una sola persona con cui ci sentiamo spesso. Questi che vengono da lontano si possono organizzare grazie al calendario e riescono a farsi accompagnare da laici. Di solito siamo 50 circa agli incontri, comunque un bel numero.

Un altro documento riporta invece la presentazione del logo dell’anno della vita consacrata, che durerà fino al 2 febbraio 2016. «La colomba rappresenta lo Spirito Santo, fonte di vita e ispiratore di creatività. Le acque sotto di lei sono formate da tessere di mosaico che indicano la complessità e l’armonia degli elementi umani e cosmici che lo Spirito fa gemere secondo i misteriosi disegni di Dio. Le tre stelle ricordano l’identità della vita consacrata nel mondo come la confessio trinitatis, signum fraternitatis e servitium caritatis. Esprimono la circolarità e la relazionalità dell’amore trinitario che la vita consacrata cerca di vivere quotidianamente nel mondo. Il piccolo globo poliedrico rappresenta il mondo con la varietà dei popoli e delle culture, come afferma papa Francesco. Il soffio dello Spirito lo conduce verso il futuro: è l’invito ai consacrati e alle consacrate a diventare portatori dello Spirito, uomini e donne autenticamente spirituali, capaci di fecondare segretamente la storia. Importante significato lo assumono anche le tre parole accanto al globo: “evangelium” indica la norma fondamentale della vita consacrata che è la sequela Christi come viene insegnata dal vangelo, il quale dona sapienza orientatrice e gioia. “Prophetia” richiama il carattere profetico della vita consacrata che si configura come una speciale forma di partecipazione alla funzione profetica di Cristo, comunicata dallo Spirito a tutto il Popolo di Dio. “Spes” ricorda il compimento ultimo del mistero cristiano. In questo tempo di incertezza, la speranza mostra la sua fragilità culturale e sociale e l’orizzonte è oscuro perché sembrano spesso smarrite le tracce di Dio. La vita consacrata ha una permanente proiezione escatologica: testimonia nella storia che ogni speranza avrà l’accoglienza definitiva e converte l’attesa in missione».