ScuolaDi Benedetto Riga

La dispersione scolastica, che incide in maniera decisiva sul capitale umano del Paese, si può arginare attraverso un rapporto collaborativo nuovo tra scuole e terzo settore, che con i suoi progetti investe ogni anno più dello Stato.

L’investimento del terzo settore.
Da solo, il terzo settore investe ogni anno 60 milioni di euro per contrastare la dispersione scolastica. Più del ministero dell’Istruzione, che investe circa 55 milioni di euro ogni anno in progetti attivati nelle scuole, con finalità di recupero. È il dato più significativo che emerge dalla ricerca “Lost – Dispersione scolastica: il costo per la collettività e il ruolo di scuole e Terzo settore”, promossa da WeWorld, Associazione Bruno Trentin, Fondazione Giovanni Agnelli, in collaborazione con Csvnet, in quattro città: Milano, Roma, Napoli e Palermo. L’indagine prende in considerazione 364 progetti sviluppati da 248 scuole e 229 enti della società civile, un terzo dei quali realizzati a Milano. Gli enti che hanno risposto al questionario raggiungono 32.747 ragazzi, erogano 8.602 ore settimanali grazie al lavoro di 6.950 collaboratori (solo una parte retribuiti, gli altri volontari). L’attività tipica di un ente raggiunge 30 ragazzi/e, per 12 ore settimanali, su 5 giorni e in presenza di 7 animatori. Per ogni euro speso viene prodotto un valore pari a 1 euro e 60 centesimi. Un risultato straordinario, che deriva innanzitutto dall’apporto del lavoro volontario.

Ultimi in Europa. Nonostante i miglioramenti conseguiti negli ultimi 10 anni, l’Italia è ultima nella classifica europea: circa due ragazzi su 10 – il 17,6% secondo l’Eurostat, il 23,8% per l’Istat, che utilizza parametri diversi per l’intervallo di età e di valutazione dei percorsi scolastici alternativi, regionali e tecnici – abbandonano gli studi prima della conclusione del percorso che li potrebbe portare a un titolo di studio. Particolare, anche rispetto a questo settore, la situazione del Sud e delle Isole, con Regioni che presentano dati drammatici: Sardegna 25,5%, Sicilia 24,8%, Campania 21,8% e Puglia 17,7%. La media europea è pari all’11,9%. Lontanissimo l’obiettivo fissato dall’Agenda di Lisbona da conseguire entro il 2020: scendere al di sotto del 10%.

I costi per la collettività. “L’azzeramento della dispersione scolastica – si legge nel rapporto – potrebbe avere un impatto sul Pil compreso in una forbice che va da un minimo dell’1,4% a un massimo del 6,8%”. Le percentuali si traducono in queste cifre, a seconda della crescita del Paese: da 21 miliardi di euro a 106 miliardi di euro, con una perdita del capitale umano nazionale compresa tra l’1 e il 5% in meno di reddito a seconda delle ipotesi poste a base di calcolo.

La necessaria sinergia tra scuola e terzo settore. La dispersione scolastica richiede interventi urgenti e mirati, da sviluppare soprattutto durante il percorso della scuola secondaria di primo grado, per scongiurare o limitare fortemente l’abbandono negli anni successivi. Per questa ragione, a parere degli estensori della ricerca, è indispensabile una collaborazione stretta tra pubblico e privato sociale. “Con questa indagine – ha dichiarato Marco Chiesara, presidente WeWorld Intervita – chiediamo che le scuole si aprano maggiormente al nostro intervento e, al contempo, che Miur ed enti pubblici in generale favoriscano il processo di collaborazione tra scuole e terzo settore, sostenendo la nascita di reti durevoli nel tempo e capaci di mostrare risultati concreti”.

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