GreciaDi Marco Testi

La doppia notizia, quella della vittoria di Tsipras e della morte di Demis Roussos, leader del gruppo “Aphrodite’s child”, che molto fece parlare di sé negli anni Sessanta, riapre un discorso vecchio e nuovo insieme: Grecia e “grecità”. Non sappiamo dove la porterà Syriza, ma sappiamo dove ci ha portato lei fino a poco tempo fa. Non solo chi ha fatto studi classici e sa quanto dobbiamo alla Grecia in termini di civiltà e cultura. Anche dopo la “classicità”, quando altre civilizzazioni, quella illuministica e napoleonica, quella inglese, quella americana sembravano aver preso il suo posto, molti si sono posti ostinatamente una domanda: è stata una strada maestra? Se dovessimo dare retta alla storia – hai detto niente – la risposta sarebbe sì.

D’altronde rispetto a “governi” più antichi, forme di assolutismo divinizzato o di egemonia di un gruppo militare, le pòleis elleniche erano sicuramente uno “scandalo”: il popolo doveva essere sentito, l’agorà aveva la sua rumorosa voce, anche se tempio e palazzo continuavano a dettare gli elementi cardini della vita politica. Ecco: politica. È la parola che ci fa capire quanto dobbiamo alla Grecia: “proprio della città”, “arte dell’amministrazione della città”, divenuto termine per eccellenza in tutto l’Occidente e anche altrove, in duemilacinquecento anni di questa storia di città che lentamente emergono dal sonno del “medioevo” ellenico causato dalla fine della civiltà micenea.
La Grecia è stata sempre presente nel nostro immaginario collettivo, anche quando, per sbarazzarci di un barocco giunto a leziosaggini estenuate e fini a se stesse, ci inventammo una Arcadia che non esisteva, regione di una – guarda caso – Grecia caratterizzata da pastorelli zufolanti e fanciulle innamorate, come se il duro lavoro agreste, a quei tempi ancora più improbo, lasciasse spazio per queste facezie.

L’ombra della madre Grecia è stata sempre presente nella poesia di Foscolo, anche se noi ce ne accorgiamo solo quando leggiamo “A Zacinto”, dedicato alla sua isola natale, ed anche la pittura metafisica del greco De Chirico (nato da genitori italiani a Volos, in Tessaglia) ha ribadito la presenza del modello ellenico nell’arte contemporanea. Cento e passa anni prima, molti intellettuali furono rapiti da quello che sembrava la contraddizione per eccellenza, la schiavitù della Grecia sotto il potere ottomano, e si imbarcarono per combattere per la sua libertà: l’esempio di Byron, morto di febbri malariche a Missolungi, in Grecia, è troppo celebre per dilungarvisi. E poi la musica: la divina per eccellenza, Maria Callas, con la sua voce e la sua vita (era nata a New York da genitori greci e fece i suoi studi ad Atene) tra il romantico e il mondano che hanno riacceso i fari su una nazione che sembrava ad alcuni un pallido ricordo scolastico; e quel regista, Michel Cacoyannis che nel 1964 riprese un dimenticato romanzo di Kazantzakis, “Zorba il greco”, di vent’anni prima, e senza averne sospetto rese immortale Anthony Quinn mentre ballava una danza tradizionale, che per la verità nel romanzo si chiamava zeimbèkiko e nel film diventò, nell’elaborazione di Mikis Theodorakis, quel syrtaki destinato a rimanere nell’immaginario collettivo e nelle nostre danze di società.
Una musica che negli stessi anni Sessanta, quattro anni più tardi, tornò a ridettare legge in un’Europa (ma anche negli Usa) anglofona e rifondata musicalmente dai Beatles: “Rain and tears” fu un successo eccezionale, non solo perché riproponeva e rendeva “scandalosamente” familiare ai giovani contestatori di allora un canone seicentesco di Pachelbel, riproponendo sonorità impensabili allora (come il clavicembalo in apertura) ma perché la voce di Demis Roussos, nato in Egitto da genitori greci, era qualcosa di insolito e affascinate: rugosa e vellutata assieme, capace di falsetti e di sonorità mediterranee. Purtroppo Demis, che ci ha regalato altri successi indimenticabili come “It’s five o’ clock”, “Spring, summer winter and fall”, è scomparso ieri l’altro in una clinica di Atene. Ma la musica continua con l’altro “figlio di Afrodite”, Vangelis, che dopo aver signoreggiato il mondo delle colonne sonore con i temi musicali di “Momenti di gloria” e “Blade runner”, ha offerto l’unico concerto live della sua carriera da solista nel tempio di Zeus Olimpico ad Atene. Il che, soprattutto per un greco, è un gran bel riconoscimento.
La Grecia non è mai tramontata sui nostri orizzonti. Le vicende di un’Europa che ha tentato l’unità economica prima di quella politica hanno fortemente penalizzato un Paese che sta ponendo drammaticamente anche l’altra grande questione della ricchezza delle differenze. Che hanno fatto la storia occidentale.

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