isisSi chiamerà “KhilafaLive” e sarà una all news 24 ore su 24. È in rampa di lancio la televisione del Califfo dello Stato Islamico (Is), Abu Bakr Al Baghadi, che, è cosa nota, non sottovaluta certo l’importanza della comunicazione nella Jihad al punto di dotare il Califfato di un vero e proprio “Media Council”. Dalle notizie filtrate dai siti jihadisti si sa che il canale, tra le altre cose, avrà in palinsesto “Tempo di arruolamento”, un programma rivolto in modo particolare alla formazione dei cosiddetti foreign fighters, i combattenti stranieri dell’Is. La tv del Califfo userà anche per questo la lingua inglese. Sono molti, infatti, i musulmani, soprattutto europei, che non capiscono l’arabo. Non mancheranno i reportage del giornalista britannico John Cantlie, sequestrato nel 2012 e dallo scorso settembre “testimonial” della verità dell’Is nelle zone occupate dal Califfo in Iraq e in Siria.
Dotati della tecnologia, delle competenze e delle risorse necessarie allo scopo, i miliziani dell’Is potranno contare anche su programmi di messaggeria istantanea alla stregua di Whatsapp e su social media come Facebook. Insomma, la Jihad si combatte anche sul piano della comunicazione e dell’informazione come dimostrano ampiamente i video dell’orrore con le decapitazioni degli ostaggi stranieri, la morte di un uomo accusato di essere omosessuale e per questo gettato da un edificio e finito a colpi di pietra e ancora pochi giorni fa le immagini del bimbo giustiziere di due ostaggi e la fucilazione di 13 ragazzini rei di aver guardato in tv la partita della nazionale irachena di calcio impegnata nella Coppa d’Asia.
La linea editoriale, se di linea si può parlare, appare quindi chiara e si basa sulla eliminazione dell’influenza occidentale nel mondo islamico, sull’autorità politica e religiosa del Califfo, sull’interpretazione radicale dell’Islam e sull’applicazione della Sharia come fonte del diritto. Con questa tv Abu Bakr Al Baghadi amplia il fronte della lotta jihadista e lo trasferisce anche sul piano dell’informazione. Dopo l’attentato a Parigi contro il settimanale Charlie Ebdo, in Europa ci s’interroga sulle falle nella sicurezza e nell’intelligence e si parla molto di “risposta comune” al terrorismo. Questa non può prescindere dalla chiarezza – nascondere la verità non serve – separando le responsabilità di tanti musulmani da quelle di assassini la cui verità ha solo il sapore della morte e della violenza.

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