ebenenDi Emanuela Vinai
A chi avanzi ancora dei dubbi sui dati Istat in tema di crollo demografico, suggeriamo un test semplice e immediato: alzate gli occhi ai balconi in questo ultimo mese. Sono spenti. Irrimediabilmente spenti. Dove sono finiti gli alberi di Natale che svettavano tremolanti nelle intemperie? Dove sono le complesse luminarie da competizione col vicino di casa? Dove sono i Babbi rampicanti, così kitsch da diventare immancabili? In altre parole: chi ha rubato lo spirito del Natale? Un detto popolare recita che il Natale è dei bambini e dove mancano i bambini, con la loro fiduciosa speranza, manca anche la voglia di festeggiare. La crisi morde i portafogli, ma soprattutto i cuori. In mancanza di una motivazione forte, persistente e molto convincente (“Mamma, papà, quando facciamo il presepe? E l’albero? Mammaaaaaa!”) non si ha nemmeno voglia di tirare fuori gli scatoloni con gli addobbi, tanto passa subito e poi bisogna ritirarli.
Le scuse autoassolventi sono molte e comprensibili, ci sono momenti della propria vita in cui il dolore stringe così forte che l’ultimo pensiero è quello della ghirlanda alla porta, ma la sensazione di essere finiti nel racconto di Dickens stavolta è forte. Acuita anche da strade dove l’illuminazione pubblica è realizzata ricorrendo a installazioni probabilmente artistiche ma quantomeno incongrue: dalle bandiere di tutto il mondo nel centro della Capitale, che sembrano attendere la nuova edizione di Giochi senza frontiere, agli ombrelli bianchi e rossi che guarniscono le vie di una cittadina di provincia del Nord dove, forse, dopo quello del Torino si preparano ad accogliere il ritiro calcistico dei galletti baresi.
Attraversando l’Italia in treno (mezzo che consente un’osservazione ponderata, stazione dopo stazione) oppure semplicemente passeggiando, si vedono balconi vuoti e finestre illuminate solo dal blu della televisione. La desolazione del momento storico è palpabile. Mai come quest’anno si sono visti così pochi segni di una delle festività più belle e più attese da chi crede e anche da chi è in cerca. Manca la luce perché manca la speranza, in una decostruzione del mistero, della gioia, della vita che continua. Le luci spente sono un campanello d’allarme da non sottovalutare: da qui a trasformarsi in un brutto calco di Ebenezer Scrooge il passo è pericolosamente vicino. Anche perché i fantasmi della nostra redenzione, che dovrebbero utilmente ammonirci, hanno un sacco di problemi. Non ci credete? Prendiamo a prestito Dickens e applichiamolo allo stato dell’arte. Lo spirito del Natale Passato è negli anziani e nei barboni: soli, lontani dagli affetti, sopravvissuti a una vita che è stata forte più che facile, si addormentano senza sapere a chi raccontare di Natali di un tempo, forse miseri ma ricchi di affetto. Lo spirito del Presente è nelle famiglie: impoverite e sfiduciate, spesso monoparentali, strette tra il bilancio risicato e le pubblicità di viaggi che invitano a “fuggire” dal Natale, in attesa di una svolta sempre annunciata e mai giunta. Lo spirito del Futuro è nei figli: solo che ce ne sono sempre meno, sempre più unici, sempre più smaliziati e demotivati all’attesa, in un mondo del tutto e subito che non lascia il tempo di fermarsi alla sorpresa sincera, quella che fa sgranare gli occhi e aprire al riso.
Eppure sarebbe bastato così poco. Palline multicolori scompagnate da mettere su un pino che ha visto tempi migliori e che orgogliosamente riesce a stirare rami e aghi, illuminato da una rincorsa di lucine piccole ma insistenti. E poi muschio per i prati, pan grattato per i sentierini, carta blu con le stelle per il cielo, carta argentata a fare l’acqua, la stella dorata sulla grotta di corteccia e pecorelle ovunque (sempre sovrabbondanti: quando pensi di aver finito c’è n’è sempre almeno una che bela, muta, sul fondo della scatola). Ci siamo passati tutti. Se si guarda in soffitta, in cantina, nell’armadio, il materiale c’è, è mancata la voglia di usarlo. Lo spirito, appunto.
E ora, con l’Epifania che tutte le feste porta via, si torna alla quotidianità, senza che nulla ne abbia spezzato la monotonia con l’incanto. Ma arrendersi non è un verbo da coniugare. E allora coraggio, ci sono ben dodici mesi di tempo, non lasciamoci rubare la speranza. Forgiamo mente e cuore nella consapevolezza che il Bambino di Luce viene ogni anno, senza paura, a illuminarci l’anima.

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