Papa incontroDi Maria Chiara Biagioni

Arriva un tempo in cui tutto quello che si doveva dire, si è detto. E arriva un tempo in cui ciò che si verbalizza non è più sufficiente per aprire strade nuove o sciogliere i nodi esistenti. È il tempo in cui il linguaggio è chiamato a superare se stesso e il dibattito ad aprirsi agli impegni concreti: è il tempo del dialogo segnato da Papa Francesco.

Una storia nuova. Nel 2014, questa storia nuova dei rapporti tra le Chiese e le religioni è cominciata ad aprile a Gerusalemme quando Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo si sono dati appuntamento nel cuore della Terra Santa a 50 anni dallo storico abbraccio tra Paolo VI e Athenagora. Il Papa non ci è andato da solo. Ha deciso di farsi accompagnare dal rabbino Abraham Skorka e dall’islamico Omar Abboud, entrambi amici di vecchia data ai tempi di Bergoglio a Buenos Aires. Papa Francesco sapeva di andare in una terra difficile, dove la parola dialogo si scontra ogni giorno con il sangue dei morti e l’odio radicato nei cuori. Sapeva perfettamente che in questi luoghi non basta invocare la pace. E ha scelto la via del dialogo dei segni. Il più forte è stato il lungo e commovente abbraccio che Papa Francesco, Skorka e Abboud si sono scambiati davanti al Muro del Pianto. L’uno commosso fino alle lacrime sulle spalle dell’altro, dando a quel mondo diviso e intriso di rancore la testimonianza di una amicizia possibile e radicata nel tempo. Nel mondo in cui tutto si dice e si comunica, nell’era della interconnessione, il linguaggio dei segni penetra dentro più di mille trattati e dichiarazioni d’intenti, perché non impone nulla all’interlocutore. Lo lascia libero di decidere e tutto il tempo per rifletterci. Non convince con la forza della retorica ma con la dolcezza della vita.

Le scelte coraggiose. Se tutto finisse così, l’abbraccio sarebbe puro romanticismo e il dialogo diventerebbe agli occhi del mondo poco credibile, se non addirittura fastidioso. Ma non è così: perché ai gesti di amicizia, Papa Francesco ha saputo far seguire scelte coraggiose come quella d’invitare a giugno in Vaticano i due leader israeliano e palestinese per un momento d’invocazione alla pace. Scelta talmente coraggiosa da correre anche il rischio d’imbattersi in un fallimento, di scontrarsi duramente con il peso della storia e della realtà. Ma indicare la meta significa anche questo.

Passi nuovi e azioni comuni.
Non è più il tempo di aspettare il momento giusto per compiere passi nuovi e intraprendere azioni comuni. L’umanità ha un bisogno disperato di speranza soprattutto laddove dilagano indisturbate povertà e ingiustizie sociali. Nasce così l’iniziativa di unire gli esponenti di spicco delle varie religioni – islam, ebraismo, induismo, buddismo – e di altre confessioni cristiane (a partire dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby) per combattere ogni forma di schiavitù moderna dalla prostituzione, al lavoro forzato, al traffico di organi. Il 2 dicembre scorso leader religiosi di tutto il mondo hanno firmato una dichiarazione congiunta che fissa l’obiettivo di “eliminare per sempre la schiavitù moderna entro il 2020”.

Una cosa sola. Ma può il sogno dell’unità piena delle Chiese limitarsi a questo? Può la preghiera di Gesù, “che tutti siano una cosa sola”, restringersi al punto di diventare un patto di amicizia o di impegno comune per l’umanità? A Istanbul quest’anno a novembre nel rapporto unico e fraterno tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo si è intravisto quel qualcosa in più a cui da secoli anelano le Chiese. È Bartolomeo a spingere in avanti perché – ha detto – “per tutto il tempo che noi siamo stati impegnati nelle nostre dispute, il mondo vive la paura della sopravvivenza e l’ansia del domani”. “Ecco perché la responsabilità di noi cristiani è maggiore davanti a Dio, all’uomo e alla Storia”. Non poteva trovare interlocutore migliore di Papa Francesco che rivolgendosi a Bartolomeo ha detto: “Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza”. E mettendo da parte i fogli scritti e appoggiando la testa sul suo petto, ha chiesto al Patriarca di benedire lui e la Chiesa di Roma. Ai teologi ora il compito di spiegare quanto si è visto e di mettere nero su bianco il mistero di questa Comunione. Il 2014 è finito così: un altro anno inizia, aprendosi sicuramente ai nuovi soffi dello Spirito.

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