Marco e Mons. Galantino

 

Marco Sprecaè con Mons. Nunzio Galantino

“Se non investiamo seriamente sulla comunicazione, rischiamo l’irrilevanza e la marginalità”. Lo ha detto monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, aprendo ieri pomeriggio a Roma il Convegno su “Nuovi media e nuovo umanesimo”, organizzato da Anicec e promosso dall‘Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali e dall‘Università Cattolica del Sacro Cuore in occasione dei dieci anni del Direttorio Cei sulle comunicazioni sociali.
Presenti per il nostro giornale Simone Incicco e Marco Sprecacè.
Lo “stile” che la Chiesa deve avere in fatto di comunicazione, ha proseguito, deve essere quello di una Chiesa “in uscita”, “che sappia e che voglia osare, che non abbia paura di dire ‘qui ho un po’ esagerato, qui mi sono sbagliato’”. “La nostra missione – ha detto mons. Galantino – è prima di tutto una missione di comunione, ognuno con i mezzi che ha a disposizione”. No, allora, ai “professionisti del lamento” e alla “sindrome della moglie di Lot, che cammina con la testa all’indietro”. Si, invece, a media cattolici che abbiano la capacità di “provocare domande, di educare alla domanda e offrire strumenti critici perché le domande possano essere sensate e portino a risposte concrete”. 

“L’era digitale è l’era della scommessa sull’umano”. Ne è convinto monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, intervenuto al Convegno su “Nuovi media e nuovo umanesimo”. “O abitiamo questo tempo, o saremo assorbiti da un modello tecnico che ci sfuggirà di mano, perché va molto più veloce di noi”, ha ammonito il portavoce della Cei, ricordando che “il realismo cristiano è quello di chi sa che ciò che fa la differenza è la persona umana. I media hanno senso laddove riescono a farci essere più umani, a produrre la cultura dell’incontro”. Oggi, per mons. Pompili, “i contenuti della comunicazione sono ciò che le persone condividono. I media siamo noi”. Già dieci anni fa, il Direttorio Cei sulle comunicazioni sociali “aveva visto l’importanza del fattore umano”. Il modello da seguire è quello della “Chiesa in uscita” auspicata dal Papa, che “decide di annullare le distanze rispetto ai suoi interlocutori”. Di qui la necessità, ha concluso il sottosegretario della Cei, di “rompere schemi e gabbie ideologiche, anche all’interno dell’“ecosistema dei media cattolici”, chiamati a fare “unità nelle differenze”. 

“Ci sono ‘cupole’ che condizionano la fruizione delle notizie, che amputano la realtà”. Lo ha detto Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, durante la tavola rotonda del Convegno su “Nuovi media e nuovo umanesimo”. Per Tarquinio “non amputare la realtà” è, invece, uno dei compiti principali che i media cattolici devono assumersi, in un’epoca di “informazione selfie, che ci somiglia”. “Nel mondo dell’informazione – ha fatto notare Domenico Delle Foglie, direttore del Sir – è cambiato tutto: o cambiamo e accettiamo la sfida, o le cose ci sfuggiranno di mano”. Il Sir, ad esempio, ha introdotto la “diretta Twitter” dell’udienza generale del Papa, che viene ora seguita in u modo triplice: tweet, lanci di agenzia e video di sintesi di un minuto. “Una finestra che guarda e che racconta il mondo”: cosi il direttore di rete, Paolo Ruffini, ha definito Tv2000, che vuole essere “interessante per tutti, per chi crede e per chi non crede”. “I giornali diocesani raccontano storie che restano confinate nei territori, per questo ci facciamo compagni di viaggio delle persone ascoltandole” ha chiosato Francesco Zanotti, presidente della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici). “Ci sono periferie geografiche ed esistenziali – ha aggiunto – che dobbiamo raccontare le storie di speranza nel territorio ma con uno sguardo che va oltre”.

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