votoDi Gianni Borsa

Non è questione di zero virgola, questo è certo. L’infittirsi del dibattito, in Italia quanto nelle sedi europee, sulla tenuta dei conti nostrani e le reali possibilità di ripresa economica del Belpaese, suscita da una parte l’amarezza di sentirsi costantemente sul banco degli imputati, ma al contempo può rafforzare un serio esame di coscienza: a Roma, e nel più minuscolo anfratto della Penisola, è chiara la gravità della situazione? Ed è altrettanto forte la volontà di uscire dalle secche della recessione, che porta disoccupazione, povertà diffusa, fiducia decrescente nel futuro, specie tra le giovani generazioni?
I ministri europei, riuniti l’8 e il 9 dicembre a Bruxelles, hanno ribadito ciò che la Commissione Ue aveva messo nero su bianco pochi giorni or sono: l’Italia ci sta provando a rialzare la testa, ma gli sforzi sinora compiuti non bastano. Per cui a marzo siamo attesi a un nuovo test per verificare se le riforme prospettate dal Governo saranno state effettivamente avviate tanto da portare ai primi risultati e a un tendenziale, concreto, cambio di passo.
Dal canto suo Angela Merkel ha voluto giocare il “carico”: presa da una sorta di messianismo rigorista, ha prima mandato a dire che l’Italia deve moltiplicare gli sforzi, salvo poi affidare a qualche messaggero di pace una modesta correzione dei toni. Per essere onesti, occorre tener presente che gli sguardi ombrosi sulle sorti italiane sono molti, sia nel nord Europa, sia – scenario inedito – nei Paesi che in questi ultimi tempi, con l’aiuto dell’Ue e al prezzo di pesantissimi sacrifici sociali, hanno cercato di rimettere in sesto la barca (Spagna, Irlanda, Grecia…).
Sulla solvibilità dell’Italia ogni tanto si aggiungono, come non bastasse, i giudizi – chissà quanto disinteressati? – delle agenzie di rating. Le quali di per sé contribuiscono a complicare le cose.
Ma quali sono i problemi veri dell’Italia? Sono risaputi: economia che non riprende fiato (mentre diversi altri sistemi economici dei Paesi di Eurolandia e dell’Ue hanno da tempo lasciato la crisi alle spalle); disoccupazione dilagante, che a sua volta influisce sui redditi delle famiglie e sui consumi interni; produttività del lavoro modesta; scarsa propensione agli investimenti; peso di un debito pubblico gigantesco che costa parecchi punti di Pil in interessi e, non di meno, incatena possibili risorse da destinare a investimenti, infrastrutture, credito, formazione e ricerca, tutti elementi necessari a una ripresa degna di questo nome.
L’oggettiva precarietà della situazione italiana – nonostante le spalle larghe di un Paese tra i più sviluppati al mondo – va poi considerata non solo in “valore assoluto”, ma, per così dire, in “valore relativo”, ovvero nel quadro di un’economia mondiale che non è certo al massimo del suo potenziale, con Paesi cosiddetti emergenti che tirano il freno (Cina in primis), e una costante instabilità dei mercati finanziari, i quali tremano al solo sentir parlare di un’elezione anticipata in Grecia. Dunque una tensione latente che rende più precario il quadro per chi di per sé sta già arrancando. Come l’Italia.
Dunque c’è speranza? Sì, ovviamente. Purché il Paese – gli italiani, ogni italiano – capisca che deve cominciare non solo a camminare, ma a correre. Che ha bisogno di una politica lungimirante e forte, in grado di tirare le fila delle riforme, anche quando possono costare l’impopolarità. Una nazione intera chiamata a rivedere taluni “stili” e priorità: perché – qui la Germania ha qualcosa da insegnare – occorre investire di più, lavorare di più, e, poi, pretendere di più (a partire dal lavoro per i giovani, servizi pubblici migliori, maggiori attenzioni ai contesti fragili, con la famiglia in testa). La stessa politica deve fare di più: iniziando a essere credibile, mediante decisioni serie e condivise, maturate in una sorta di “patto nazionale” sottoscritto da tutti gli attori politici per il bene degli italiani, cominciando da una forma di “giuramento anticorruzione”. Al Palazzo (anzi, a tutti i Palazzi disseminati nel territorio che sono centri di spesa) è ugualmente chiesto di fare, subito e senza eccezioni, piazza pulita del marcio e degli scandali che fanno male ai diversi livelli di governo e, più ancora, minano la fiducia dei cittadini nella politica stessa.
Riforme, più investimenti, meno tasse, lavoro e “stringere la cinghia” (tutti però, non sempre i soliti). L’Italia ce la può fare. Checché ne pensi la Merkel.

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