RobertoDi Francesco Rossi
Partiti “scavati” al loro interno dal malaffare, esponenti politici asserviti a una volontà criminale. È lo scenario, inquietante quanto inedito, che emerge dall’indagine su “Mafia capitale”. Sembrano consegnate alla storia le tangenti che si riscuotevano per alimentare (almeno in parte) le casse dei partiti (Mani pulite), e pure la corruzione di manager, politici e imprenditori ai fini di arricchimento personale pare superata da questo sistema criminale. È in pericolo la democrazia? Ne parliamo con il politologo Roberto Cartocci, docente all’Università di Bologna.
Da dove nasce questa “scalata” del malaffare ai partiti? È una nuova fase della corruzione?
“Deriva fondamentalmente dal nostro terreno di ‘cultura’: viviamo in un orizzonte tendenzialmente esposto alla corruzione. Il senso della moralità, della responsabilità individuale e nei confronti degli altri esiste, ma non è così diffuso. Prevale invece un orientamento che suggerisce di approfittare delle occasioni che consentono di accaparrarsi risorse collettive. Non possiamo dare solo la colpa agli altri: la nostra è una moralità pubblica debole, e questo si riflette nel fatto che la gente torna in campo dopo una condanna senza alcuno stigma sociale”.
Ora ci scandalizziamo, ma in fondo anche l’evasione fiscale, pagare in nero una prestazione ottenendo uno sconto è un furto, è sottrazione di risorse pubbliche…
“Assolutamente sì. Parlare di ‘casta’ è in parte mistificante, perché fa leva sull’idea che gli altri rubino e noi no, mentre la tendenza ad affermare gli interessi propri a scapito di quelli collettivi è presente in maniera diffusa e in ogni strato sociale. Nel loro piccolo, in tanti fanno del loro meglio per barare sul fisco o non pagare il biglietto del bus”.
Un tempo si rubava “per” il partito. Poi è venuta la Seconda Repubblica, ma la situazione non è migliorata. Quale responsabilità hanno i partiti e il sistema politico?
“Nel passaggio tra Prima e Seconda Repubblica sono arrivati il bipolarismo e la nuova politica, nella quale è transitato però il peggio della vecchia, e la situazione è andata deteriorandosi. Aggiungo che l’indebolimento dei partiti intesi come ‘macchine’ ha favorito l’inserimento di personaggi che, a vario titolo, potevano garantire voti. E il proliferare di partiti e partitini che potevano diventare decisivi ha fatto aumentare la platea delle possibili corruzioni, disperdendo le responsabilità. La soluzione è stata aumentare le leggi e i controlli anti-corruzione, strada assolutamente perdente: la complessità dei processi ha avvantaggiato le ‘cupole’, strutturate per accaparrarsi gli appalti a scapito degli onesti che finiscono per tenersi alla larga da procedure complesse e costose”.
Ma è ipotizzabile una svolta?
“Il mondo può sempre cambiare, anche nei modi più inattesi e nelle situazioni che sembrano incancrenite. Servono però tempi medio-lunghi e si deve partire da una rigenerazione della politica. Il processo deve essere ‘top-down’, dall’alto al basso. Certo, anche nel basso ci devono essere – e ci sono – fermenti di rigenerazione, ma dal punto di vista del sistema complessivo occorre partire dai luoghi nei quali si decide la destinazione dei fondi pubblici”.
Quale risposta devono dare le istituzioni pubbliche?
“Devono dare segnali, non episodici, d’interruzione di questi circuiti affaristico-criminali. Serve qualche anno di buon governo, perché si tratta di ricreare la fiducia nella gente e dare una mano ai volenterosi che operano nella società civile, testimoni e costruttori di moralità pubblica. Se questi finiscono per essere considerati i ‘soliti fessi’ rispetto ai furbi che la fanno sempre franca, allora non se ne esce. È incredibile che noti delinquenti siano sulla breccia rifacendosi una ‘verginità’: questo è possibile solo se il contesto è tollerante e indulgente”.
E i partiti cosa possono fare per non soccombere definitivamente? In gioco c’è il futuro della nostra democrazia…
“Rispetto ai vecchi partiti novecenteschi, dove sezioni e attivisti locali garantivano una cinghia di trasmissione efficiente, oggi in larga misura i partiti hanno perso il contatto organico con la base. Ora devono richiamare l’attenzione da lontano, e lo fanno purtroppo con competenze estranee alla buona politica: quelle dialettiche dei talk show, la proposta di soluzioni mirabolanti o il fare appello a bassissimi istinti. È una cattiva politica, per ottenere consenso elettorale. Il problema, quindi, riguarda la rifondazione della politica, che si deve mettere al riparo dagli slogan populistici e demagogici come pure da richiami ideologici di un mondo che non c’è più. Ma non illudiamoci che la soluzione possa venire dal basso: vediamo la parabola dei grillini, che partendo dalla protesta hanno avuto un grande consenso, ma senza produrre soluzioni efficaci. Serve invece una leadership politica in grado di catalizzare consenso non solo grazie all’immagine e a una piattaforma programmatica, ma per la capacità di realizzarla”.

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