FalabellaDi Giovanna Pasqualin Traversa

Nel nostro Paese sono circa 3,2 milioni le persone con disabilità. Oltre il 21% delle famiglie italiane al cui interno vive una di queste persone è a rischio povertà, contro il 18% delle famiglie senza componenti disabili. A renderlo noto sono gli ultimi dati in materia elaborati dall’Istat, rilevati nella “Indagine sulle condizioni di vita” (Eusilc – European Union Statistics on Income and Living Conditions) relativi al periodo 2004-2011, e rilanciati alla vigilia dell’odierna Giornata internazionale delle persone con disabilità. Per l’occasione, si tiene oggi a Palazzo Chigi un incontro ad alto livello istituzionale, promosso dai ministeri di Lavoro e Politiche sociali, Istruzione, università e ricerca, e Salute su “La sfida per l’inclusione. Il futuro delle persone con disabilità”. Previsto un intervento del premier Matteo Renzi, oltre alla partecipazione dei ministri Poletti e Lorenzin e del sottosegretario Faraone. A margine dell’incontro una delegazione delle associazioni del settore sarà ricevuta al Quirinale dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Di questa delegazione fa parte anche Vincenzo Falabella, presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish), che analizza il binomio disabilità-povertà. Secondo Falabella, “occorre riportare al centro del dibattito i temi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e rilanciare concretamente gli impegni assunti dal governo italiano con il Programma d’azione biennale sulla disabilità, approvato nel 2013”. Questa Giornata, aggiunge, “non può essere una mera celebrazione, ma l’occasione per intervenire concretamente sulla qualità della vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie”.

Qualità della vita, appunto, quindi diritti, inclusione, lotta alla povertà…

“La presenza di una o più persone con disabilità in famiglia è la prima causa d’impoverimento, materiale e sociale, del nucleo familiare, perché la povertà non è solo economica ma è fatta anche di discriminazione, pregiudizi, emarginazione. Ci fa inorridire che, nonostante le dichiarazioni di principio, la società e la cultura del nostro Paese ci considerino più pesi che persone”.

Che cosa pensa del recente ripristino del Fondo per le autosufficienze a 400 milioni?
“Il testo della legge di stabilità ne prevedeva 250, ora è stato rifinanziato a 400 milioni, una cifra comunque irrisoria rispetto alle esigenze, ma i 150 milioni in più sono stati sottratti al Fondo per le famiglie. Non si può togliere al sociale per dare al sociale, impoverendo ulteriormente le famiglie già provate dal carico assistenziale di un membro con disabilità. È sconcertante: le coperture vanno trovate altrove. L’unico aspetto positivo è che la stabilizzazione di questi 400 milioni fa sì che in futuro andremo a trattare su questa base e non partendo da zero come quest’anno”.

Nei giorni scorsi il Banco farmaceutico ha reso noto che nel 2014 è aumentata del 3,86% la richiesta di medicine da parte chi non è più in grado di acquistarle. Tra queste persone ci sono oltre 50mila disabili…
“A livello di tutela della salute non c’è uniformità sul territorio: la sanità è a macchia di leopardo. Molte Regioni hanno aumentato il ticket sulla prescrizione dei farmaci, pertanto anche il loro acquisto diventa un impegno di spesa importante che molti cittadini non sono più in grado di affrontare. La maggior parte delle famiglie italiane è monoreddito, e se è riuscita finora a parare i colpi della crisi grazie ai propri risparmi, questi si stanno erodendo. Sono convinto che la vera crisi esploderà nel 2015”.

Famiglie monoreddito o costrette a diventarlo perché la presenza di una persona con disabilità grave spesso costringe uno dei “caregiver”, di norma i genitori, ad abbandonare il lavoro…
“Qui si sconta ancora una volta la mancanza di politiche sociali adeguate, di sostegno da parte dello Stato che non sa farsi carico dei suoi cittadini più deboli”.

Uno strumento di prevenzione/contrasto alla povertà è il lavoro. Come è la situazione su questo fronte?

“I posti di lavoro previsti per le cosiddette ‘categorie protette’, fissati dalla Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), vengono coperti solo per il 20%. Solo uno su cinque iscritti al collocamento obbligatorio trova effettivamente lavoro. Nella maggior parte dei casi, inoltre, chi viene assunto viene adibito a mansioni inferiori alle sue capacità, in base al pregiudizio secondo il quale la persona disabile sarebbe poco efficiente. Un’altra stortura da correggere”.

Quanto conta la formazione scolastica contro la povertà?

“Moltissimo. Il diritto all’istruzione deve essere garantito a tutti per il conseguimento della pari dignità sociale, del pieno sviluppo e dell’inclusione della persona con disabilità, prima a scuola, poi nel mondo del lavoro. Non solo integrazione, ma inclusione. Abbiamo elaborato una proposta di legge in materia che ha suscitato l’attenzione del ministro Giannini e speravamo fosse inserita nelle ‘Linee per la buona scuola’. Ci siamo invece accorti che nel capitolo 3.6, dedicato all’inclusione scolastica, si parla molto poco di disabilità. Stiamo ancora aspettando una risposta dal ministero”.

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