mammaDi Giovanni Pasqualin Traversa

Maternità e lavoro femminile, da tabù a valore aggiunto per cambiare in meglio le regole di un mercato troppo schiacciato sul presente e attento all’ottimizzazione delle risorse. Ciò che in Italia continua a essere per le donne un elemento discriminatorio e un accidentato percorso a ostacoli, potrebbe invece essere visto da istituzioni e aziende come straordinaria occasione di crescita umana e professionale, vera palestra di leadership, perché nell’esperienza di mettere al mondo un figlio e di crescerlo giorno dopo giorno si sviluppano quelle competenze che poi sono le più ricercate dal mondo del lavoro. Ma questa rivoluzione culturale richiede alcune condizioni. Il tema è stato oggi al centro del convegno “Maternità e lavoro femminile. Stereotipi e nuovi paradigmi”, promosso a Roma da Dipartimento per le pari opportunità, Scuola nazionale dell’amministrazione e Dipartimento per le politiche della famiglia. A fare da sfondo alcuni dati Istat. Il 30% delle donne interrompe il lavoro per motivi familiari contro il 3% degli uomini, e solo quattro madri su dieci riprendono l’attività una volta stabilizzata la situazione. Secondo Eurostat, inoltre, in Italia il tasso di occupazione femminile diminuisce al crescere del numero dei figli più che nel resto d’Europa (dal 60% con 1 figlio al 33% con 3 figli).

Oltre gli stereotipi. Eppure, secondo Giovanni Tria, presidente Scuola nazionale dell’amministrazione, il benessere di una società “cresce se si sviluppa il benessere di ogni persona, compresa la madre lavoratrice, perché questo avrà ricadute positive anche sul mondo del lavoro e dell’impresa”. Per Franca Biondelli, sottosegretario al ministero del Lavoro, occorre concentrarsi anzitutto sulla conciliazione lavoro-famiglia. “Nella delega lavoro approvata ieri – ha detto – c’è qualche risposta positiva, ad esempio l’estensione delle tutele della maternità anche alle lavoratrici autonome”. Ma c’è ancora molto da fare per abbattere vecchi paradigmi culturali, a partire dal “clima sociale sfavorevole alla maternità e alla paternità”. Ad affermarlo è Laura Linda Sabbadini (Istat). In Italia, spiega, “il part time non si è sviluppato come strumento di conciliazione lavoro-famiglia, ma solo come strumento di flessibilità da parte delle imprese, cosicché la percentuale del part time femminile involontario è doppia rispetto alla media europea”. Troppo rigida la divisione dei ruoli all’interno della coppia: “più del 70% del lavoro di cura è svolto dalle donne anche se emergono segnali positivi sul fronte delle coppie giovani”. Il principale strumento di conciliazione rimane quello familiare delle “reti di aiuto informale”, ossia le nonne, aggravate però dall’aumento dell’età pensionabile e spesso anche dalla cura di genitori anziani. E gli uomini? Utilizzano poco i congedi parentali, ma forse non è tutta colpa loro. Fa riflettere il dato di una ricerca citata da Sabbadini, secondo la quale il 50% delle donne è convinto che gli uomini non siano adatti ai lavori di cura. Continuiamo a darci la zappa sui piedi?

Inadeguata l’offerta di servizi per la prima infanzia. Lo affermano Francesca Carta e Lucia Rizzia, di Banca d’Italia, presentando una ricerca. Nel 2013 solo il 13,5% dei bambini tra 0 e 2 anni ha frequentato un nido o un servizio integrativo pubblico o privato convenzionato. L’introduzione della possibilità di usufruire della scuola dell’infanzia per le madri dei bambini di 2 anni e mezzo ha aumentato di 6 punti percentuali la partecipazione al mercato del lavoro delle stesse e di 3 punti la loro occupazione. Riccarda Zezza, presidente di Piano C e autrice con Andrea Vitullo del libro “Maam. La maternità è un master” (ed. Bur, settembre 2014), spiega: “Saper ascoltare, negoziare, gestire il tempo, comunicare, essere veloci, determinare priorità e gestirle, affrontare imprevisti, lavorare per l’oggi pensando al domani, essere in grado di lavorare con e per gli altri sono competenze richieste dal mondo del lavoro ma anche skill che si acquisiscono con la maternità”. Rizzia ha fondato con Vitullo il progetto Maam®, Maternity as a Master, innovativo percorso in cui le competenze genitoriali diventano base per costruire pratiche di leadership, già sperimentato da Nestlè, Luxottica, Valore D e Pirelli. E a proposito di aziende, Stefano Agostini, Ceo Gruppo San Pellegrino nel quale il 40% delle dirigenti è donna, sostiene: “Favorire la maternità conviene anche a noi per non perdere talenti”. Occorre “sfruttare il Jobs act per introdurre inventivi economici allo smartworking”, suggerisce Arianna Visentini, Ceo Variazioni srl. Da Vitullo l’esortazione a promuovere la “cura delle relazioni” e l’invito agli uomini a “mettere in gioco senza pregiudizi il loro lato femminile”. PerFrancesca Romana Pezzella, neurologa presso l’Azienda ospedaliera San Camillo – Forlanini, la maternità porta a sviluppare nuove capacità cognitive e aumenta le energie. Forse sarebbe ora di tenerne conto.

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