ospedaleGERMANIA – La discussione sul tema del fine vita e sul suicidio assistito viene affrontato con rinnovata attenzione dal mondo cattolico germanico. Il caso di Brittany Maynard, la 29enne americana affetta da tumore terminale che si è tolta la vita nei giorni scorsi, ha contribuito a rilanciare il tema. Le associazioni laicali tedesche e austriache sono impegnate in prima fila nel confronto pubblico, anche in considerazione del fatto che l’approccio per le cure palliative e l’assistenza ai malati terminali sono all’avanguardia in questi due Paesi. Il professor Marcus Schlemmer, primario del reparto Cure palliative all’ospedale “Barmherzige Brüder” di Monaco di Baviera, ha esposto a Massimo Lavena per SirEuropa la sua valutazione professionale e personale sul tema.

L’esperienza tedesca nelle cure palliative è uno dei punti di riferimento in Europa: quali pazienti avete in cura? Quali le attenzioni da riservare ai malati e alle loro famiglie?
“Ci occupiamo per lo più di pazienti con patologie oncologiche, ma sempre più anche di pazienti con patologie neurologiche, polmonari o cardiache di stadio avanzato. Il nostro lavoro quotidiano è incentrato sul controllo dei sintomi, ossia trattiamo il dolore, l’insufficienza respiratoria, le condizioni dell’ileo, ma anche l’angoscia. Il dolore somatico è quasi sempre legato al dolore ‘spirituale’. Da questo punto di vista, accanto all’assistenza del paziente e dei suoi congiunti con una terapia somatica, è necessaria anche una terapia dell’anima. Ciò che il paziente e i suoi famigliari necessitano sono sicurezza, libertà dal dolore e dedizione umana”.

Qual è la cognizione della pubblica opinione circa la possibilità di andare verso la morte con dignità senza ricorrere all’eutanasia o al suicidio assistito?
“Anche in Germania, la discussione attuale è ostacolata da poca chiarezza sui concetti utilizzati. Spesso si confondono tra loro termini come eutanasia attiva, eutanasia passiva, eutanasia, suicidio assistito. L’eutanasia attiva è punibile in Germania e viene respinta con decisione dalla maggioranza dei medici e della popolazione. Lasciar morire i pazienti che soffrono di patologie molto avanzate, ovvero accompagnarli alla morte, è l’intenzione della medicina palliativa. Da questo punto di vista, in Germania, è sempre possibile morire dignitosamente senza uccidersi o farsi uccidere, che corrisponde appunto all’eutanasia”.

In una recente dichiarazione di tre grandi associazioni cattoliche tedesche e austriache (Zdk, Kaoe e Akv) si afferma un esplicito rifiuto al suicidio assistito. Ci si esprime inoltre contro un’idea crescente, anche tra alcuni gruppi di medici, secondo cui favorire la morte di un malato terminale sia rispettoso dell’essere umano: come rispondere a questa argomentazione?
“Secondo l’articolo 1 della Legge fondamentale (Costituzione) della Repubblica Federale di Germania, la dignità dell’essere umano è intangibile. Secondo l’articolo 2, particolarmente le persone deboli, malate e morenti devono beneficiare di tutela particolare soprattutto nel processo della morte. Tale tutela si riferisce alla vita. Molti pazienti gravissimi, dopo un lungo percorso di sofferenza, desiderano poter morire e non dover subire più una medicina ‘tecnica’. Questo desiderio è legittimo e purtroppo non è sempre rispettato dai medici. Se pratichiamo una cultura umana del lasciar morire, sempre meno persone desidereranno suicidarsi. Solo pochissimi pazienti pianificano il suicidio. A questi pazienti dobbiamo togliere la loro disperazione, la loro paura e la loro solitudine”.

Come medico, come vedrebbe il suo rapporto con il paziente terminale se ci fosse la legalizzazione del suicidio assistito?
“Sicuramente l’eutanasia attiva non verrà legalizzata in Germania e resterà sempre un atto punibile per legge. Se una legge dovesse legalizzare il suicidio assistito da parte dei medici, ritengo vi sia il rischio che gli anziani e i malati si sentano sempre più in dovere di non pesare più sui propri congiunti o sulla società e di praticare invece il suicidio assistito. Questa sarebbe davvero un’evoluzione sciagurata. Una società libera, sviluppatasi sul terreno dell’idea cristiana di persona, che tutela la vita umana indipendentemente dalla malattia, dalla disabilità o dall’età, non può legalizzare l’eutanasia attiva. Io stesso non assisterei al suicidio un paziente ma lo aiuterei a non avere paura, ad affrontare la più che comprensibile disperazione e lo accompagnerei alla morte”.

La sua esperienza la porta quotidianamente a confrontarsi con il dolore estremo: quale testimonianza le viene dai malati?

“L’esperienza quotidiana con pazienti terminali ci mostra che la sofferenza insostenibile può essere mitigata con l’aiuto di terapie palliative multidisciplinari praticate da infermieri, medici, assistenti sociali, fisioterapeuti, sacerdoti, in modo da far sì che le persone possano convivere con questa situazione oppure anche morire. Nella mia esperienza clinica ventennale ho incontrato meno di dieci pazienti che volessero togliersi la vita. Al contrario, i pazienti che volevano andare in Svizzera con l’aiuto di organizzazioni per il suicidio assistito, come ad esempio Dignitas, ma che poi sono stati trattati da noi, hanno cambiato idea e non hanno più voluto suicidarsi”.

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