AsiaDi Davide Maggiori

Sconfiggere l’emergenza umanitaria è possibile, l’Etiopia lo dimostra. Trent’anni fa le prime immagini della carestia nel paese del Corno d’Africa arrivavano sui televisori di quello che allora si definiva il Primo mondo, oggi l’Etiopia sembra in preda a un cambiamento continuo. Imponenti lavori pubblici cambiano l’aspetto della capitale Addis Abeba: questa mira a diventare uno dei centri economici della “nuova Africa”, quella che attira l’attenzione degli investitori internazionali con tassi di crescita anche a due cifre. È il caso del Pil etiope, che nell’ultimo decennio è cresciuto in media del 10,9% e anche il prossimo anno dovrebbe attestarsi ben oltre l’8%.

Modello asiatico. Uno scenario simile era difficile da immaginare quando i cameramen della Bbc registrarono le immagini della fame dando il via a una mobilitazione umanitaria vastissima, eppure è stato ottenuto proprio puntando su quei settori che negli anni Ottanta erano sembrati al collasso. “Anche qui, come in altri Paesi dell’area, sono state scoperte risorse naturali importanti – ricorda da Addis Abeba Marco Faggioli, rappresentante-Paese della ong dei salesiani Vis (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) – ma si è scelto di investire in particolare sull’agricoltura e sull’allevamento, nel tentativo di creare una crescita economica inclusiva”. Un primo risultato è ormai a portata di mano, continua il cooperante italiano: “Tra pochi anni le autorità sperano di dichiarare l’autosufficienza sul piano alimentare, un traguardo straordinario”, tanto più se si tiene conto del punto di partenza. Poco di più, sostengono gli statistici, ci vorrà perché l’Etiopia esca dalla categoria degli Stati ‘a basso reddito’ per entrare tra quelli della fascia media: si spera di poter festeggiare questa conquista non solo simbolica già nel 2025. Uno dei segreti di questi progressi sta nello sguardo che il Paese ha rivolto all’Asia. Non solo alla Cina, che proprio ad Addis Abeba ha realizzato uno dei suoi investimenti più spettacolari sul continente, la nuova sede dell’Unione africana, ma anche a quelle che negli stessi anni Ottanta in cui L’Etiopia lottava contro la carestia erano descritte come le ‘tigri’ del grande continente. Paesi come la Corea o Singapore, protagonisti di grandi interventi strutturali in cui lo Stato giocava un ruolo trainante nella trasformazione, come è possibile vedere anche oggi nella stessa Addis Abeba: “Il tentativo è quello di ‘redistribuire’ la popolazione anche a livello urbano – spiega Faggioli – perché la capitale subisce la pressione delle migrazioni dalle aree rurali, anche se meno di altre città africane”. Tutto questo, nota il responsabile del Vis “comporta anche delle tensioni sociali”.

Se infatti la stessa Onu riconosce che l’Etiopia è avviata a raggiungere molti degli Obiettivi di sviluppo del Millennio entro la scadenza del 2015, il rischio di una crescita economica senza inclusione non è stato del tutto evitato. “Il Paese ha oltre 80 milioni di abitanti, il percorso da intraprendere è ancora lungo”, ragiona il cooperante. “La priorità – prosegue – è quella di rendere accessibili i servizi anche nelle aree rurali”. Andando oltre i semplici indicatori economici, in effetti, il problema della miseria in senso ampio è ancora diffuso. Gli ultimi dati diffusi dall’università inglese di Oxford sull’Indice multidimensionale di povertà (Mpi, che prende in considerazione oltre alle condizioni di vita anche l’istruzione e il sistema sanitario), mostra che a soffrire di privazioni in almeno uno di questi settori è oltre l’87% della popolazione, mentre i poveri ‘ufficiali’ si fermano al 30%. “Anche a 30 anni dalla grande carestia – riassume poi Faggioli – il Paese vede le calamità naturali farla ancora da padrone, soprattutto per quanto riguarda gli effetti del cambiamento climatico, che qui si fanno sentire anche più che nel resto del mondo”. È il caso delle zone al confine con la Somalia, che in questo periodo soffrono le conseguenze di forti piogge e inondazioni. Infine, anche il ruolo importante dello Stato nell’economia ha un’altra faccia: è, secondo le organizzazioni per i diritti umani, quella del controllo capillare dei cittadini e della limitazione del dissenso. Su 547 parlamentari, uno solo appartiene all’opposizione e Human Rights Watch ha definito il panorama mediatico etiope “uno dei più repressivi del mondo”.

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