benzinaDi Nicola Salvagnin

A Ferragosto, il petrolio costava 103 dollari al barile; due mesi dopo 20 dollari in meno, cioè soli 83 dollari. Più che un calo, un crollo dei prezzi sui mercati mondiali, dovuto a differenti fattori (eccesso di produzione, scarsa domanda, incapacità dell’Opec di frenare la discesa dei prezzi…) tutti concorrenti ad un fenomeno che a noi italiani automobilisti – ma non solo – non può fare che piacere.
Vi sarete accorti che, dopo tanto tempo, i prezzi di benzina e gasolio stanno calando. Con calma, certo non nella misura di quanto sta succedendo alla materia prima: si sa che i rialzi dei carburanti sono fulminei, i cali assai ponderati e diluiti nel tempo.
Ma sappiate anche che siamo all’inizio. Salvo imprevisti, caleranno di ulteriori 10 centesimi al litro nei prossimi mesi: nelle stazioni di servizio più economiche, troveremo gasolio a 1,38 euro, e benzina a 1,50 al litro.
Tutto bene, dunque? Sì e no, perché questa netta flessione del prezzo degli idrocarburi è come una medaglia: ha due facce. Quella sorridente guarda soprattutto i consumatori: meno soldi spesi alla pompa sono più soldi in tasca per le altre spese. E il calo influirà pure sulla quotazione del metano, strettamente collegata a quella del petrolio: costerà un po’ di meno riscaldarsi, ma pure produrre elettricità dalle centrali a gas.
Tutto questo farà calare pure i costi di molte aziende, da quelle di autotrasporto a quelle energivore. Una diminuzione che probabilmente si scaricherà, in piccola parte, pure sui prodotti finali.
E qui s’intravvede l’altro lato della medaglia, quello che farà sorridere meno l’Italia intera, e piangere lo Stato italiano. Vista l’incidenza dei costi energetici sull’inflazione, questa calerà ulteriormente. Ma siccome siamo già attorno a quota zero, significa uno scivolo sempre più ripido verso la deflazione. Che in economia è come un cancro: fa solo danni, è difficilissimo da debellare.
Ma a piangere a stretto giro di posta sarà soprattutto lo Stato italiano, che da Iva e accise sui carburanti trova buona parte della “benzina” che gli permette di funzionare. Un’enorme fetta del costo di gasolio, benzina, metano, energia elettrica, infatti, è composta da tasse varie, tante e pesanti. Più ne consumiamo, più soldi versiamo alle casse statali. In caso contrario, come questo, l’Erario vedrà allontanarsi qualcosa come 2 miliardi di euro pronta cassa. Noccioline? Mica tanto. Per una cifra di poco superiore (che dovremmo pagare) stiamo facendo a botte con l’Unione europea…
Rimane il fatto che la faccia della medaglia più sorridente primeggia sui mugugni fiscali. Tra una cosa e l’altra, ci rimarranno in tasca qualcosa come 10 miliardi di euro: siamo un Paese che importa normalmente fiumi di petrolio e gas. Se questi soldi si riversassero nell’economia domestica, invece che nelle tasche di Putin e sceicchi vari, questa ne avrebbe una tonificante iniezione di adrenalina. E lo Stato recupererebbe con l’altra mano (leggi Irpef, Irap e Iva) quello che sta perdendo con questa.
Salvo l’ipotesi più agghiacciante, che è l’esatto panorama odierno: tutti si tengono ben stretti i soldi sotto il materasso. Niente maggiori consumi, niente maggiori investimenti. Butteremmo la medaglia bella dentro un pozzo che rischia di inghiottirci.

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