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Tunisia, Ucraina, Brasile, Uruguay al voto

TurchiaDevono pur interrogare l’Europa, l’intero “mondo occidentale”, quelle file di cittadini tunisini in coda ieri mattina presto, davanti ai seggi elettorali, per esercitare quel diritto di voto conquistato a caro prezzo con i rivolgimenti politici sviluppatisi a partire dal dicembre di quattro anni fa.

Precisamente da quel 18 dicembre 2010, quando il giovane Mohamed Bouazizi si diede fuoco per protestare contro le terribili condizioni economiche e sociali nel suo Paese. Un gesto estremo che fece da miccia, innescando la “primavera araba”.
Ebbene la piccola nazione nordafricana è tornata alle urne per libere elezioni, per darsi dei governanti che possano traghettare la Tunisia in una nuova era democratica, lasciandosi alle spalle il colonialismo, i regimi dittatoriali, le prevaricazioni politiche a sfondo religioso, le negazioni dei diritti fondamentali.
Ai seggi si sono recati nelle stesse ore anche i cittadini di Ucraina, Brasile, Uruguay. Ogni Paese ha la sua storia, le sue specificità, la sua situazione attuale: basti pensare agli ucraini che votano con un Paese attraversato dalla guerra e con varie regioni pressate dall’ingombrante vicino russo; oppure il Brasile, “gigante” americano perennemente in sospeso tra sviluppo e arretratezza, tra ricchezza potenziale e povertà incombente.
Eppure tunisini e ucraini, brasiliani e uruguaiani hanno votato – con percentuali di astensionismo ben differenti e con esiti democratici ancora da verificare -; hanno depositato la loro scheda nelle urne mandando due essenziali messaggi all’Occidente. Il primo è che finché c’è voto, c’è speranza; e la democrazia – per quanto imperfetta sia – rimane il sistema politico che più si avvicina al governo del popolo, al perseguimento del bene comune mediante un rapporto di delega e di fiducia tra governati e governanti. E l’azione dei secondi un domani potrà essere giudicata dal libero esercizio del voto da parte dei primi.
Il secondo messaggio è ancora più responsabilizzante. Le elezioni nei Paesi in fase di “transizione democratica” ci ricordano che i diritti vanno conquistati o che qualcuno li ha conquistati per noi pagando magari un caro prezzo (si pensi, per l’Italia, alla lotta di Liberazione, al ritorno alla Repubblica, all’azione dei Padri costituenti…), e per questo sono preziosi in sé. Al contempo occorre rammentare che i diritti (il diritto alla vita, il diritto alla pace, i diritti politici e sindacali, la libertà di parola e di coscienza, il diritto alla salute e all’istruzione, i diritti delle donne, la libertà religiosa, la tutela delle minoranze…) non possono mai essere dati per scontati e per questo occorre una costante educazione, sensibilizzazione e mobilitazione affinché gli stessi diritti restino tali. Per tutti.
Da Tunisi come da Kiev, così come da Sarajevo, dove si è votato di recente, giunge all’Ovest un richiamo che non può essere sottovalutato.