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Zambia, braccio di ferro tra il governo e le multinazionali

minaDi Davide Maggiore

Da un lato, 200 milioni di dollari, dall’altro, 170 posti di lavoro. I primi sono i rimborsi congelati dal governo dello Zambia nei confronti della multinazionale mineraria Glencore e della sua controllata locale Mopani, accusate di evasione fiscale come altre imprese dello stesso settore, che reclamano in totale 600 milioni. I 170 lavoratori, invece, sono quelli dell’impianto di lavorazione dello zinco nella città di Kabwe, che la stessa azienda ha chiuso dopo aver lamentato la mancata restituzione della multa, definita ingiusta. Anche altre attività nel Paese – in particolare quelle nella cosiddetta ‘cintura del rame’ o Copperbelt – potrebbero essere bloccate per mancanza di fondi, ha avvertito Danny Gallows, amministratore delegato di Mopani.

Braccio di ferro.
“I licenziamenti sono illegali”, ha però sostenuto il governo, che sostiene di non essere stato avvertito preventivamente, come vorrebbero le regole, e minaccia di revocare la licenza mineraria a Glencore. Intanto però, a Kabwe, decine di famiglie devono fare i conti con una situazione drammatica: “Bisogna tenere conto che il più delle volte, in casa, è solo il capofamiglia a lavorare, la moglie non ha un lavoro o al limite vende pomodori e altri ortaggi al mercato, sempre che gliene avanzino”, testimonia suor Marcela Dettula, responsabile della Caritas locale. Ci sono inoltre molti altri minatori che potrebbero essere colpiti dai possibili licenziamenti, “almeno 1200”, stima la religiosa. Se veramente Glencore decidesse di trasformare gli annunci in realtà, dovrebbe essere il governo a intervenire per dare sostegno alle famiglie senza reddito. “Le autorità attualmente non hanno i mezzi per proteggere tutti – nota però suor Marcela – o garantire che ognuno abbia un sussidio; già ora molte famiglie, semplicemente, sono a casa senza ricevere nulla”. Quello della multinazionale – ha denunciato da parte sua l’organizzazione non governativa Actionaid in un comunicato – “è uno spudorato tentativo di ingaggiare un braccio di ferro con il governo e portarlo a rendere meno stringenti le regole” in materia fiscale. Lo Zambia, ricorda però il documento “è uno dei Paesi più poveri del mondo e i redditi delle tasse gli sono necessari per creare servizi pubblici e far crescere la sua economia”.

Paralisi sociale. “Il governo ha tutto il diritto di chiedere alle imprese una prova del fatto che non vendono le risorse del Paese a prezzi ribassati evitando così di pagare le tasse”, sostiene dunque Actionaid. Le multinazionali, d’altra parte, accusa l’organizzazione non governativa, “sostengono di avere obiezioni legittime alle regole statali in materia di imposte”, ma lo fanno solo ora, mentre la norma contestata è in vigore da anni, anche se era stata ignorata dai precedenti governi. “Le autorità – conclude dunque il comunicato – dovrebbero restare sulle loro posizioni e assicurare che alcune delle più grandi imprese minerarie mondiali paghino la loro giusta quota di tasse”. Nel frattempo, però, a soffrire della situazione di paralisi è anche chi nella disputa non è direttamente coinvolto. È il caso dei bambini, spiega ancora suor Marcela, perché “nel momento in cui perde il lavoro e lo stipendio, un genitore non può più permettersi di mandare i figli in una scuola di qualità”. Resta, certo, il sistema statale, ma quello, testimonia la religiosa, è quasi al collasso “per il sovraffollamento”. Dati diffusi di recente da alcune organizzazioni della società civile hanno mostrato che, in molti istituti primari delle aree rurali, un solo insegnante deve occuparsi di più classi, o addirittura dell’intero ciclo di studi. Per molti bambini, insomma, “quando nella famiglia non c’è più chi lavora, l’unica possibilità è rimanere a casa”. Non solo: ora l’attenzione verso le aree minerarie è cresciuta per la vicenda che coinvolge le multinazionali, ma, ricorda suor Marcela, “la comunità era già in difficoltà da prima”. La zona, prosegue “è molto densamente popolata e terribilmente inquinata”, avvelenata dai prodotti di scarto della lavorazione dei minerali. La situazione è particolarmente grave “nella parte ovest di Kabwe” e ancora una volta tra i più colpiti dalle malattie ci sono proprio i giovanissimi.