Patriarca SakoE alla fine Decreto fu. Dopo le dovute e necessarie consultazioni con il Sinodo della Chiesa caldea e con la Congregazione per le Chiese orientali, il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael I Sako, ha reso noto, il 22 ottobre, il Decreto che contiene le misure disciplinari contro sei sacerdoti e sei monaci caldei che hanno lasciato l’Iraq senza il permesso dei rispettivi superiori, trovando riparo in Occidente, specie in Usa, Canada, Australia e nei Paesi scandinavi. Qui, millantando anche minacce ricevute dai radicalisti islamici, hanno trovato accoglienza e rifugio presso le numerose e influenti comunità caldee della diaspora assumendo anche incarichi pastorali. Una vera e propria fuga che il patriarca non ha esitato a bollare come “diserzione”.
Tornano alla mente le parole di Benedetto da Norcia, che nella sua Regola, al capitolo 1, parla delle categorie dei monaci, tra queste quella dei “monaci, che sono detti girovaghi, perché per tutta la vita passano da un paese all’altro, sempre vagabondi e instabili…”. Le misure adottate dal Patriarca contro questi ‘imboscati’ sono molto dure: sospensione dal servizio sacerdotale e di ogni forma di retribuzione. D’altra parte, si legge nel Decreto che “prima di essere ordinato, il sacerdote promette di offrire tutta la sua vita a Dio e alla Chiesa: è un’offerta che poggia sull’obbedienza ai superiori senza alcuna riserva”. Per non parlare dei voti di castità e di povertà. Impegni vocazionali che sono naufragati davanti alla paura e alla violenza che da anni, ormai, divorano l’Iraq. Ma per Louis Raphael I Sako “non è giustificato da parte loro tirare in ballo” queste difficoltà per sottrarsi al servizio pastorale.
Tuttavia, a fianco di preti che fuggono ce ne sono tanti altri che scelgono di restare anche a costo della vita – come Hana Qasha e Ragheed Ganni, il vescovo di Mosul, monsignor Paulus Faraj Rahho – “per consolare e sostenere i fedeli”, e non solo in Iraq. Piace ricordare, allora, la testimonianza del francescano Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh prelevato dal convento di San Giuseppe nella notte tra il 5 e il 6 ottobre e successivamente posto agli arresti domiciliari dalle autorità islamiste della valle dell’Oronte, con l’accusa di nascondere delle armi in convento. Accusa rivelatasi poi totalmente infondata e per questo rimesso in libertà. Tornato al villaggio, secondo alcuni testimoni, il parroco ha radunato tutti i suoi fedeli dicendo loro che erano liberi di andare o restare. Aggiungendo che lui sarebbe rimasto fino a quando anche uno solo di loro avesse deciso di rimanere. Sono rimasti tutti. Una grande testimonianza di fede anche per l’Occidente e la migliore risposta alla preoccupazione di Papa Francesco, “non possiamo rassegnarci a pensare il Medio Oriente senza i cristiani”.

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