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Vescovo Carlo Bresciani: “Se la Chiesa perdesse la sua dimensione missionaria diventerebbe una specie di setta che si chiude su se stessa”

Veglia Missionaria (13)

DIOCESI – Giovedì 16 ottobre presso la Cattedrale Madonna della Marina si è tenuta la Veglia Missionaria Diocesana organizzata dall’Ufficio Missio e presieduta dal Vescovo Mons. Carlo Bresciani.
Leggi il racconto della serata: FOTOGALLERY Veglia Missionaria Diocesana

Pubblichiamo le parole del nostro Vescovo Carlo Bresciani: “La Chiesa nasce dal mandato di Gesù: “Andate in tutto il mondo, proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15). Non si può essere fedeli a Gesù, se non si prende sul serio questo suo comando. Lui di fatto è il primo missionario del Padre, Colui che è il mandato.

Se la Chiesa perde questa dimensione missionaria non è più se stessa. Quando papa Francesco dice che la Chiesa deve essere una Chiesa “in uscita” intende proprio questo e fa riferimento a questo comando del Cristo risorto. Afferma infatti il papa nel suo messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale: “Oggi c’è moltissima gente che non conosce Gesù Cristo. Rimane perciò di grande urgenza la missione ad gentes, a cui tutti i membri della Chiesa sono chiamati a partecipare, in quanto la Chiesa è per sua natura missionaria: la Chiesa è nata “in uscita”.

Ė attraverso la missione del Figlio che noi abbiamo conosciuto il vero volto del Padre: “nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il figlio vorrà rivelarlo” (Mt 11, 27). Se la Chiesa perdesse la sua dimensione missionaria diventerebbe una specie di setta che si chiude su se stessa, su una nazione o su un popolo, incapace di dare corpo alla volontà di salvezza di tutti gli uomini. Diventerebbe un gruppo di amici più o meno soddisfatti di se stessi, incapaci di guardare oltre il loro gruppo e di far spazio ad altri. Era il rischio che ha corso la prima Chiesa e di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli: rivolgersi solo ai Giudei e chiudersi ai pagani. Fu proprio san Paolo che, guidato dallo Spirito, l’aiutò a rivolgersi ai pagani e ad accoglierli. Ma già san Pietro, guidato dallo Spirito, entrò nella casa del pagano Cornelio e diede a lui e alla sua casa il battesimo.

San Paolo aveva ben capito, che “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi” (1Tim 2,4). Egli fu il primo grande apostolo che diede corpo alla missione della Chiesa ad gentes, cioè non solo agli ebrei e ai suoi correligionari dell’AT. L’infaticabilità della missione di san Paolo, che da solo percorse tutto il mondo allora conosciuto, affrontando ogni sorta di difficoltà e opposizioni, fece risuonare il vangelo di salvezza di Gesù in ogni centro di quel mondo antico. Quest’anno noi abbiamo posto san Paolo al centro del nostro programma pastorale e stiamo meditando come diocesi il suo annuncio depositato nella 1 lettera ai Corinti.

San Paolo ci ricorda che, come Chiesa, non abbiamo altro che Gesù da portare al mondo, “ma guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9, 16) “io non mi vergogno del Vangelo” (Rom 1, 16). Non dobbiamo lasciarci ammaliare dalla cosiddetta sapienza del mondo che ritiene stoltezza il Vangelo di Gesù morto e risorto. Anche Atene, nella sua orgogliosa sapienza filosofica, riteneva di non aver bisogno di Gesù, di avere altre cose a cui pensare e di cui occuparsi.

Anche noi, storditi dai meravigliosi progressi umani e tecnico-scientifici, siamo tentati di portare in tutto il mondo solo il progresso materiale e di dire a chi ci vuol parlare di Gesù e del Vangelo “ti sentiremo un’altra volta” (At 17, 32). A san Paolo venne contrapposta la sapienza della filosofia greca e in nome di essa venne rifiutato l’annuncio di Gesù. Oggi ci viene contrapposta la sapienza tecnico-scientifica che sarebbe in grado di risolvere tutti i problemi umani e in nome di questa, ritorna quel “ti ascolteremo un’altra volta” che fu detto a san Paolo. La missione ad gentes è quindi anche tra di noi.

“Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata” (Evangelii Gaudium, 2). “Pertanto l’umanità ha grande bisogno di attingere alla salvezza portata da Cristo. I discepoli sono coloro che si lasciano afferrare sempre più dall’amore di Gesù e marcare dal fuoco della passione per il Regno di Dio, per essere portatori della gioia del Vangelo” (Messaggio per la GMM).

Sentiamo tutta la nostra povertà di mezzi rispetto alle grandi centrali della comunicazione di massa che invadono la coscienza degli uomini. Abbiamo l’impressione che la nostra voce, quella del Vangelo, sia troppo flebile per essere ascoltata nel rumore delle tante voci rimbombanti. Mi pare che sia qualcosa di analogo a quello che ha esperimentato san Paolo dopo il fallimento di Atene: il fallimento. Ma fu proprio allora che san Paolo capì la cosa più importante per un vero missionario: che la forza della missione, cioè, non sta in discorsi umani sapienti, ma in ciò che il mondo ritiene stolto: Gesù Cristo morto e risorto.

Non possiamo pensare alla missione se non in un contesto di approfondimento della nostra fede: come possiamo essere missionari di Gesù se la nostra fede è troppo debole, se le nostre preoccupazioni mettono la fede all’ultimo posto, mentre al primo mettiamo il successo, il potere e il denaro?

Carissimi, la giornata missionaria mondiale se, da una parte, ci ricorda che dobbiamo aiutare le missioni e i missionari nelle loro molteplici necessità, proprio come le prime comunità cristiane si preoccupavano di fornire a san Paolo i mezzi materiali ed economici per permettergli di annunciare il Vangelo, dall’altra, ci porta ad interrogarci sulla nostra poca fede, tentati di ritenere che basta dare al mondo il pane e la casa insieme agli altri mezzi necessari alla vita in questo mondo e non ci sia bisogno di portare Gesù a coloro che non lo conoscono o che credono di conoscerlo, ma conoscendolo male (magari per colpa nostra), lo rifiutano. Commenta il papa: “Il personale  contributo economico è il segno di un’oblazione di se stessi, prima al Signore e poi ai fratelli, perché la propria offerta materiale diventi strumento di evangelizzazione di un’umanità che si costruisce sull’amore” (Messaggio per la GMM).

Le forme della missione dal tempo di san Paolo sono cambiate nei modi: c’è la missione ai pagani – a coloro che non conoscono Dio, la missione a coloro che conoscono Dio, ma non ancora Gesù Cristo, la missione ai cristiani che hanno sfigurato il volto di Gesù piegandolo ai propri interessi, ecc. Non si deve pensare solo la missione ai popoli lontani (Africa, Asia, ecc.) anche se questa è la motivazione prima di questa giornata. Tutti dobbiamo esserlo semplicemente in virtù del nostra essere cristiani. Non possiamo essere missionari se pensiamo all’Africa o all’Asia, ma non lo siamo in casa nostra, con i figli, con il coniuge, se non lo siamo sul posto di lavoro, al bar o con il gruppo di amici. Non basta dare qualche euro, prezioso per chi ne ha bisogno, se non condividiamo con i missionari l’ardore e la gioia di vivere con Gesù e di farlo conoscere attraverso il nostro modo di vivere.

“A Maria, modello di evangelizzazione umile e gioiosa, rivolgiamo la nostra preghiera, perché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo” (messaggio per la G.M.M.)”.