DahlannDi Massimo Lavena
Quali possono essere i criteri che originino rapporti economici, sociali, civili stabili e condivisi tra i popoli e i Paesi del bacino Mediterraneo, del vicino Medio Oriente e del Golfo Persico? Quale l’agenda delle scelte politiche per un cammino comune di rispetto delle differenze culturali e religiose, oggi sotto attacco di conflitti, prevaricazioni, e sconvolgimenti umanitari? A partire da queste riflessioni Cagliari ha ospitato sabato 11 ottobre il “Mediterranean-Gulf Forum 2014 – Soluzioni comuni per sfide comuni”, con il patrocinio del ministero degli Affari Esteri e Cooperazione internazionale, della Regione autonoma della Sardegna, del Comitato Economico e Sociale Europeo, ed il partenariato di France 24h e AnsaMed. Il colloquio, al quale hanno offerto il proprio contributo esperti, politici, diplomatici di una quarantina di Paesi, si è sviluppato su tre sessioni di lavori: sicurezza cooperativa e crisi regionali; sviluppo socio–economico nel Sud del Mediterraneo; La via della moderazione e il futuro del Medio Oriente. In esclusiva per il Sir,Mohammad Yusuf Dahlan, già ministro e consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’Autorità nazionale palestinese, espone la sua valutazione della situazione attuale.
Quale l’importanza del rapporto tra le differenze culturali e religiose nell’attuale situazione di crisi?
“Io sono palestinese, ho vissuto a Betlemme e a Gerusalemme. Siamo stati insieme a Gaza musulmani, cristiani, ebrei. Molto tempo fa, ho conosciuto tante persone, musulmani palestinesi che hanno sposato donne ebree o cristiane. Lavoro con persone da tanti anni di cui ho scoperto che sono cristiane dopo 15 anni di lavoro insieme. Viaggiavamo con Arafat, il nostro eroe. Due dei suoi assistenti erano cristiani. Eravamo in viaggio in aereo durante il Ramadan. Noi facevamo il digiuno e loro digiunavano con noi. La Palestina era un modello di coesistenza pacifica: erano tutti palestinesi, cristiani e musulmani, la religione non contava. Negli ultimi 10 anni abbiamo cominciato a sentir parlare di questo conflitto tra musulmani e cristiani; ma non veniva dai musulmani, veniva da fanatici. Loro – Isis – sono contro i musulmani, contro i cristiani, contro l’umanità. Vogliono cambiare la nostra vita, il nostro modo di pensare, la nostra cultura e noi non vogliamo, non permetteremo loro di farlo. Loro dicono di essere musulmani ma non è vero: noi siamo i musulmani, noi preghiamo, noi digiuniamo, siamo religiosi ma siamo persone normali. Perciò credo che ciò che sta accadendo in Iraq e in Siria sia veramente drammatico per un musulmano, per un arabo, vedere che loro dicono di essere musulmani: uccidere i cristiani non è nel nostro background, non è nella nostra religione, nella nostra cultura”.
Come migliorare e rendere possibili azioni comuni per risolvere la crisi che tocca in maniera così pesante i Paesi del bacino del Mediterraneo e il vicino Medio Oriente?
“Per noi moderati il nostro obiettivo è rafforzare la Siria e l’Iraq e non permetteremo a questa gente di riuscire nel loro intento e di gestire il nostro futuro. È compito degli arabi e anche dei Paesi occidentali tutti insieme: perché questo pericolo arriverà anche qui, perché purtroppo molti dei fanatici sono arrivati da noi provenienti dai Paesi occidentali. Questa è una nuova sfida e penso che questa conferenza o gli incontri, ufficiali o meno, siano importanti per far incontrare la gente per parlare e opporsi a questa situazione. In questi giorni sentiamo che Isis si sta impadronendo di aree dominate dai curdi. I curdi sono musulmani; Isis sta uccidendo i curdi, non i cristiani! Per loro non fa differenza. Credo non ci sia altra scelta: perché se questi pazzi prenderanno il controllo di Paesi ricchi come la Siria, la Libia o l’Iraq saremo in una situazione molto pericolosa”.
Che tipo di azioni bisogna intraprendere per raggiungere una vera consapevolezza della pace?
“Questa è una guerra che è mossa contro tutti, contro l’umanità. Io sono musulmano e sono unito ai cristiani contro questi terroristi, perché loro sono contro tutti, sono per qualcosa che non esiste nella nostra religione: noi dobbiamo lottare con tutti i mezzi, a livello economico, con l’istruzione, chiarire le loro e le nostre posizioni, perché non vogliamo che i nostri figli vengano affascinati dalle loro ideologie e dai loro slogan. Dobbiamo usare tutti i mezzi a nostra disposizione ed essere uniti contro di loro e ciò sarà l’obiettivo principale per tutti i musulmani moderati in tutti i Paesi, dalla Palestina, all’Iraq, all’Egitto. Ci sono due gruppi: quelli che sono buoni, che vogliono vivere, vogliono un futuro, un buon sistema scolastico e migliorare la loro situazione e altri che invece vogliono solo morire. Noi vogliamo vivere, la nostra religione (che sia musulmana o ebraica o cristiana), il nostro Dio vuole che noi viviamo e che viviamo bene. Perciò questa è, secondo me, la vera battaglia, la nostra battaglia tra il bene e il male. Noi dobbiamo lottare fino alla fine e vincere. Non ci sono altre opzioni”.

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