Del Vescovo Bruno Forte da Zenit

È un evento che riguarda l’intero “villaggio globale” quello che si sta svolgendo in queste due prime settimane di ottobre in Vaticano sotto la presidenza di papa Francesco: la partecipazione di vescovi di tutto il mondo, la presenza delle massime autorità della Curia Romana, oltre che di persone consacrate, di esperti e di invitati, fra cui diverse coppie di sposi, provenienti da ogni parte della terra, fa del Sinodo dedicato alle sfide pastorali riguardanti la famiglia un appuntamento in cui confluiscono le più diverse lingue, culture, mentalità ed esperienze che vivificano la Chiesa Cattolica, forse la più “glocale” delle istituzioni storiche operanti a livello planetario, in quanto unisce una radicata articolazione nel “locale” alla dimensione “globale”, fondata sulla comunione universale della stessa fede e dello stesso governo pastorale.

A interessare poi veramente tutti è il tema scelto da Papa Francesco per la riflessione comune: la famiglia. Che essa tocchi ogni essere umano lo ha mostrato efficacemente lo stesso Vescovo di Roma sin dall’omelia della veglia precedente l’inizio del Sinodo in Piazza San Pietro il 4 ottobre scorso: “Scende ormai la sera sulla nostra assemblea – ha detto il Papa, mentre le luci di uno splendido tramonto da ‘ottobrata’ romana abbracciavano tutto -. È l’ora in cui si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa, nello spessore degli affetti, del bene compiuto e ricevuto, degli incontri che scaldano il cuore e lo fanno crescere, vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo la festa senza tramonto.

È anche l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti infranti: quante persone trascinano le giornate nel vicolo cieco della rassegnazione, dell’abbandono, se non del rancore; in quante case è venuto meno il vino della gioia e, quindi, il sapore – la sapienza stessa – della vita… Degli uni e degli altri questa sera ci facciamo voce con la nostra preghiera, una preghiera per tutti”. Questo “farsi voce” di gioie e dolori, di frustrazioni e di attese, è il tratto rilevante di quanto sta avvenendo nell’aula sinodale: l’atmosfera è quella che doveva respirarsi ai tempi del Concilio Vaticano II, di una Chiesa, cioè, non dirimpettaia del mondo, ma amica degli uomini, vicina ai loro vissuti e compagna dei loro cammini. È la “Chiesa in uscita” su cui tanto insiste il Papa “venuto dalla fine del mondo”, una Chiesa “esperta in umanità” che guarda alla famiglia anzitutto come la più originaria e decisiva “scuola di umanità” (come afferma la Costituzione conciliare Gaudium et Spes al n. 52).

L’urgenza di riflettere sulla famiglia è legata, certo, alla crisi che questa istituzione conosce un po’ ovunque, specialmente nei Paesi dell’Occidente, crisi che è a sua volta segno ed effetto di un più ampio e complesso processo di cambiamento che investe convinzioni, costumi e valori finora considerati acquisiti. Eppure, in questo vasto orizzonte in trasformazione c’è una sorta di zoccolo duro, che spinge a puntare ancora sulla famiglia e sul suo potenziale positivo per il bene di tutti.

Ha affermato Papa Francesco: “È significativo come – anche nella cultura individualista che snatura e rende effimeri i legami – in ogni nato di donna rimanga vivo un bisogno essenziale di stabilità, di una porta aperta, di qualcuno con cui intessere e condividere il racconto della vita, di una storia a cui appartenere. La comunione di vita assunta dagli sposi, la loro apertura al dono della vita, la custodia reciproca, l’incontro e la memoria delle generazioni, l’accompagnamento educativo, la trasmissione della fede cristiana ai figli…: con tutto questo la famiglia continua ad essere scuola senza pari di umanità, contributo indispensabile a una società giusta e solidale. E più le sue radici sono profonde, più nella vita è possibile uscire e andare lontano, senza smarrirsi né sentirsi stranieri ad alcuna terra”.

È questa la sfida più grande cui la Chiesa in Sinodo dovrà dare risposta: come proporre efficacemente la bellezza, il valore e la possibilità concreta della famiglia nel mondo d’oggi, in tutta la varietà dei contesti che lo compongono, ma anche nella fondamentale unità del bisogno d’amore e di relazioni affidabili, che accomuna gli esseri umani. “Per ricercare ciò che oggi il Signore chiede alla Sua Chiesa – ha aggiunto Francesco -, dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’«odore» degli uomini d’oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce. A quel punto sapremo proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia”.

Quali che saranno i risultati del cammino sinodale – che per la prima volta abbraccia due assemblee, una straordinaria questo ottobre e una ordinaria l’ottobre prossimo e un intero anno di maturazione e riflessione aperta in tutte le diocesi del mondo – la novità di questa apertura e di questo stile è rilevante, e dimostra come la volontà di Francesco di promuovere una Chiesa più collegiale e partecipe nelle sue decisioni ai vari livelli stia prendendo corpo in maniera articolata e profonda. Una Chiesa vicina alla gente, più credibile e capace di trasmettere la gioia del Vangelo: un “ospedale da campo” pronto al servizio lì dove batte il cuore della storia, e le gioie e i dolori degli uomini si incontrano nella loro più profonda autenticità. “Se così non fosse, il nostro edificio resterebbe solo un castello di carte e i pastori si ridurrebbero a chierici di stato, sulle cui labbra il popolo cercherebbe invano la freschezza e il profumo del Vangelo”.

Ciò esige un’attitudine di ascolto, tanto di Dio, quanto del popolo, “fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama”; la disponibilità a un confronto sincero, aperto e fraterno, che porti a farsi carico con responsabilità degli interrogativi che il cambiamento d’epoca porta con sé; e infine uno sguardo fisso su Gesù Cristo, nutrito di contemplazione e di adorazione del suo volto. La Chiesa e l’intera famiglia umana giudicheranno il lavoro dei Padri sinodali su questa triplice chiave, la sola che – secondo la convinzione di questo Papa, che sa tanto di Vangelo – sia capace di dare frutti incisivi e duraturi per tutti.

Fonte: Il Sole 24 Ore, domenica 12 ottobre 2014, pp. 1 e 10.

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