VescoviDi Gianni Borsa

La salmodìa latina si leva al cielo, accompagnata da un lieve gesto all’insù di diverse berrette porpora e viola. La preghiera scorre lenta, ritmata, partecipata. In prima fila l’arcivescovo di Budapest, nonché presidente del Ccee e relatore generale al Sinodo, cardinale Péter Erdõ. Vicino a lui l’arcivescovo di Genova, presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, vicepresidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. Una quarantina di vescovi da altrettanti Paesi del Vecchio Continente, assieme ai rappresentanti delle Chiese d’Africa e d’Asia, oltre al Patriarca latino di Gerusalemme. Sono a Roma per l’assemblea plenaria del Ccee, per interrogarsi sulle sfide che interrogano la famiglia, ma anche per porre l’accento sulla ricchezza che il nucleo familiare continua a rappresentare nelle società contemporanee, in Europa come nelle altre regioni del pianeta. 
Quasi si anticipa, anche a colpo d’occhio, il Sinodo sulla famiglia, che Papa Francesco ha fortemente voluto e che prenderà avvio il 5 ottobre a Roma. Al quale saranno presenti tre quarti degli stessi vescovi radunati dal Ccee. 
E se il latino accompagna la celebrazione eucaristica che apre la mattina di lavori, è l’italiano che porta ad unità la trentina di lingue materne dei vescovi partecipanti. La lingua di Dante è l’“esperanto” della Chiesa europea…
Le sessioni dell’assemblea procedono con puntualità: vescovi, arcivescovi e cardinali sono molto “disciplinati” e ligi agli orari. Nessuno manca al tavolo dei lavori alla Domus Pacis di via Torre Rossa perché si dibatte di famiglia, dell’annuncio del Vangelo alla “piccola Chiesa domestica”, dell’accoglienza e della condivisione che la comunità cristiana deve mostrare ai coniugi, alle diverse generazioni che abitano la stessa casa, alle tante giovani coppie – sposate o meno – che bussano alla porta della parrocchia. Dottrina, certo, ma anche ascolto, accoglienza e solidarietà, comprensione e accompagnamento, sostegno: sono le parole che risuonano nelle relazioni ufficiali e nelle chiacchiere amichevoli davanti a un buon caffè italiano.
C’è il vescovo di Zadar, della Croazia; c’è il “collega” di Vilkaviskis, lettone; e poi i prelati giunti da Gozo (Malta) o da Chisinau (Moldova), da Stoccolma (in rappresentanza dei Paesi nordici). E poi l’arcivescovo di Cipro (maronita), quello di Dublino (Irlanda) e di Valladolid (Spagna). C’è chi, discorrendo, stringe rispettosamente tra le mani la croce che ha sul petto; chi aggiusta la fascia rossa, chi prende appunti in un angolo della sala e chi, con l’iPad, legge il giornale del suo Paese. La coppia di sposi polacca – chiamata per “spiegare” ai vescovi la figura di Giovanni Paolo II “Papa della famiglia” – si trova, evidentemente, a proprio agio, così come gli altri laici invitati a intervenire in assemblea. 
Anche in occasioni così ufficiali c’è sempre un “dietro le quinte” (non i “retroscena” così cari a certa informazione laica e talvolta laicista). Prevalgono i visi sorridenti: l’imminenza del Sinodo responsabilizza ma soprattutto sollecita nuova fiducia. E poi c’è l’incontro con il Papa! Tutti insieme si sale sul pullman a due piani, tipo sightseeing, e ci si reca in Vaticano. San Pietro affascina sempre, specie chi vive a migliaia e migliaia di chilometri dall’Urbe. In cima alle scale c’è la sala del Concistoro, luminosa e ampia, che accoglie presbiteri e laici. Francesco arriva quasi subito: il volto, serio, si allarga immediatamente in un sorriso. L’incontro è caloroso. Erdõ porta il saluto dei vescovi europei e alcune osservazioni maturate sul futuro della famiglia e quello dell’Europa. Poi il Papa, da un capo della sala, si alza e parla. Parole calde, fluide, a tratti preoccupate nel valutare l’oggi dell’Europa. Non sono note di circostanza e nemmeno espressioni che finiranno sui giornali del mattino. Papa Francesco si rivolge al cuore di chi ha dinanzi. E va a segno, come molti dei presenti racconteranno subito dopo. 
Bergoglio fa risuonare – nonostante le difficoltà che attraversano il Continente – espressioni forti e note di speranza: è Cristo il punto fermo, è Gesù la luce da testimoniare, con gioia e convinzione, nell’oggi dell’Europa e del mondo. Prima di lasciare la sala passa a salutare tutti i presenti, uno alla volta: una stretta di mano, ancora un sorriso, una parola delicata, un gesto di incoraggiamento. “Forza, forza”, accenna sottovoce, con chiaro accento ispanico. È quanto basta per ridarti la carica.  
All’uscita le guardie svizzere salutano la comitiva. Si discute, ci si interroga, qualcuno scatta fotografie, un vescovo, un po’ in disparte, sgrana un rosario… Il pullman riprende la strada. Il Sinodo è dietro l’angolo, lo sguardo della Chiesa resta posato sulla famiglia.

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