tizianoadamoedevaMaurizio Calipari
Poco più di 2.300 anni. Tanto è longeva la nozione di ‘legge morale naturale’, attraverso il dipanarsi di molte variazioni interpretative ed applicative di stampo politico, filosofico, teologico, giuridico e culturale. Come dire, siamo di fronte ad una nozione decisamente ‘storica’, più volte rimodellata dagli strumenti ermeneutici e valoriali espressi lungo i secoli dai vari filoni del pensiero umano. Una nozione quella di ‘legge morale naturale’ che, per la pregnanza dei suoi significati, ancora oggi è in grado di suscitare un acceso dibattito, soprattutto nell’ambito dell’etica e della teologia morale (con i loro risvolti pratici), tra sostenitori e detrattori della sua reale utilità ed applicabilità nel vissuto comune della gente o, addirittura, della sua stessa esistenza. Ritorniamo pertanto a soffermarci su questo tema, anche sulla spinta delle suggestioni offerte dall’Instrumentum Laboris per la preparazione dell’imminente Sinodo straordinario dei vescovi su “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. In quelle pagine, infatti, la legge morale naturale viene menzionata tra i temi che, proprio per la vivacità che provocano nel dibattito culturale odierno, probabilmente richiedono uno sforzo ulteriore di comprensione e, con un termine contemporaneo, di ‘implementazione’.
Qualunque riflessione prende le mosse dal quesito di fondo: cosa indica esattamente il concetto di legge morale naturale? In termini molto generali e sintetici, esso si riferisce a quella prima forma di normatività imperativa che ciascuno di noi sperimenta nella propria coscienza e che ci spinge (come ‘obbligo morale’) a tradurre operativamente le tendenze e le finalità essenziali della natura umana. Per dirla con Antonino Poppi, la legge morale naturale indica “l’inclinazione e la via con cui ogni ente, e quindi anche l’uomo, persegue ordinatamente il proprio fine naturale”. È chiaro che, in questo contesto, il termine ‘legge’ assume un significato del tutto analogico rispetto all’accezione giuridica della parola; non si tratta infatti di una legge già formulata (positiva), estrinseca all’uomo e a lui imposta da un’autorità esterna. Al contrario, si tratta di una legge interiore, ‘scritta nel cuore dell’uomo’ che, quindi, egli attraverso la sua ragione è capace di riconoscere naturalmente. Anche l’aggettivo ‘naturale’ si presta ad una interpretazione analogica e la sua comprensione, almeno per uno dei suoi significati, rimanda al concetto di natura umana che si sceglie di assumere (ne abbiamo recentemente trattato in un precedente articolo sul tema clicca qui…).
Nonostante le diverse possibili ermeneutiche, generalmente vi è concordanza nel riconoscere che il primo e formale precetto della legge morale naturale è “fai il bene, evita il male”. Esso, data la sua evidenza intrinseca (e perciò indimostrabile), in via di principio non ammette ignoranza, vincolando in coscienza ogni persona umana; esso rappresenta per così dire l’esperienza morale originaria di ciascuno di noi, in quanto soggetti di scelte libere che determinano la propria storia. Dai credenti, poi, questo originario appello alla coscienza morale è riconosciuto come voce di Dio che, risuonando nel cuore di ciascuno, lo chiama a vivere “quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo” come ricorda la Gaudium et Spes. Oltre a questo primo ed evidente precetto, come già riconosceva la Tradizione morale, ordinariamente sperimentiamo l’esistenza di alcuni altri precetti ‘generalissimi’, delle direzioni di fondo che ci guidano nella ricerca del bene e della verità; essi derivano per semplice ed immediata deduzione dalla stessa definizione di uomo come animale razionale, tanto che, ragionevolmente, nessuno può dire di ignorarli: sussistenza, riproduzione, razionalità e socialità. Più che di precetti veri e propri, si tratta in fondo di ‘valori’ di riferimento, da realizzare o da difendere nelle singole scelte concrete mediante l’elaborazione razionale di precetti operativi più dettagliati. Ma mentre il principio primo “fa il bene ed evita il male” e questi ‘precetti generalissimi’ direttamente dedotti dalla natura umana sono stati considerati dalla Tradizione morale come immutabili, proprio perché intimamente legati a ciò che l’essere umano è per natura, diversamente i singoli precetti morali operativi richiedono di essere elaborati ed adattati, mediante l’esercizio della ragione, nelle situazioni concrete della storia, proprio per garantire risposte morali coerenti ed efficaci circa la realizzazione dei valori immutabili conosciuti.
La legge morale naturale, dunque, non può essere compresa come un elenco prefissato di codici e codicilli etici, ma come la capacità razionale dell’uomo di conoscere e comprendere il bene e il male, nell’operare le sue libere scelte concrete, secondo ragione e in coerenza con la sua natura umana (che è l’essenza globale dell’uomo). In conclusione, a sostegno di questo impegnativo cammino da cui nessuno di noi è esente, vogliamo riproporre le parole della Gaudium et Spes 16: “Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale”.

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