don ciottiDi Gigliola Alfaro
“Putissimo pure ammazzarlo”: è il “sogno” di Totò Riina nei confronti di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele. Riina paragona don Ciotti a don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia nel 1993 e l’anno scorso beatificato. Il mafioso è stato intercettato mentre parla in carcere con il boss Alberto Lorusso. “Don Puglisi dava fastidio alla mafia perché ‘interferiva’, come adesso fa anche don Ciotti con le sue iniziative. Negli ultimi venti anni, tra i giovani è nata una forte voglia di riscatto”, dice al Sir don Antonio Chimenti, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Monreale, nel cui territorio ricade Corleone, paese natale di Riina. “Un tempo – aggiunge – ognuno pensava solo a se stesso e alla propria famiglia. L’indifferenza era un terreno fecondo per la mafia. Oggi ognuno a Corleone, come nel resto della Sicilia, pensa che questo territorio gli appartenga”. Il Progetto culturale, la Consulta delle aggregazioni laicali e l’Azione cattolica diocesana di Monreale stanno organizzando, per il 25 ottobre, molto probabilmente proprio a Corleone, un incontro su “Chiesa e mafia”, come ricorda Andrea Sollena, responsabile del Progetto culturale della diocesi di Monreale. “Il convegno – spiega – rientra nelle attività di sensibilizzazione per una cultura della legalità. L’incontro sarà un punto di inizio a cui seguiranno dei seminari che si faranno su tutto il territorio”.
Una rivoluzione. “Nella logica dei mafiosi don Luigi Ciotti è un grande nemico”, assicura al Sir Lucio Guarino, direttore del Consorzio Sviluppo e legalità, nato nel 2000, su iniziativa della prefettura di Palermo e con il contributo di don Luigi Ciotti, allo scopo di consentire prima a cinque e ora a otto Comuni della provincia di Palermo (Altofonte, Camporeale, Corleone, Monreale, Piana degli Albanesi, Roccamena, San Cipirello, San Giuseppe Jato) di amministrare in forma associata e per finalità sociali i beni confiscati alla criminalità organizzata. “I terreni agricoli e fabbricati rurali confiscati ai clan dei corleonesi (Riina, Provenzano, Brusca e Bagarella) – spiega Guarino – sono stati così trasformati in occasioni di lavoro per i giovani disoccupati del territorio, riuniti in cooperative, come previsto dalla legge 109 del 1996, fortemente voluta dall’associazione Libera. Si è creato così un nuovo modello di sviluppo e, allo stesso tempo, uno strumento per rafforzare la cultura della legalità nel territorio”. A distanza di quattordici anni “quei terreni agricoli, che prima erano simbolo di un’economia illegale del territorio, sono diventati simbolo di un’economia pulita e vincente. Quelle terre sono state completamente recuperate e trasformate in centri agrituristici, in cantine vinicole, in laboratori di confezionamento dei prodotti”.
Sfatato un mito. A gestire questi beni confiscati nel Corleonese sono tre cooperative sociali: Placido Rizzotto Libera Terra, Lavoro e non solo, Pio La Torre Libera Terra. “Abbiamo sfatato il luogo comune che vedeva la mafia generatrice di occupazione nel territorio e lo Stato incapace di creare occasioni di lavoro – osserva Guarino -. Ma la mafia otteneva consenso con l’intimidazione e lo sfruttamento della forza lavoro. Le istituzioni della Repubblica e il privato sociale, invece, sono riusciti a creare cultura d’impresa nel territorio: oggi diamo occupazione a circa cento ragazzi tra i soci delle cooperative, oltre ai lavoratori stagionali, ai quali sono pagati regolarmente i contributi. Non è solo un progetto imprenditoriale, ma di rafforzamento della cultura della legalità”. L’aver operato nel centro del potere mafioso in Sicilia, il Corleonese, secondo il direttore del Consorzio, “ha indebolito l’immagine di Riina, di Provenzano e degli altri boss”. E anche i campi di volontariato organizzati da Libera sul territorio corleonese sono uno schiaffo ai mafiosi. “L’opera voluta fortemente da don Luigi Ciotti è di prevenzione, complementare all’azione repressiva delle forze dell’ordine – afferma Guarino -. Per i mafiosi è molto più pericolosa quest’azione di prevenzione sul territorio perché diffonde la cultura della legalità. Per i mafiosi è un rischio accettabile il carcere; confiscare loro i beni significa toccarli non solo nel potere economico, ma anche nel potere di governo del territorio. La forza dei clan era rappresentata attraverso la ‘roba’. Noi abbiamo dimostrato che quando lo Stato sottrae la ‘roba’ alla mafia la restituisce alle comunità locali”. Perciò, conclude Guarino, “le minacce folli a don Ciotti di un boss, che ha condizionato la storia d’Italia per almeno un ventennio, oggi non ci fanno paura. La strada che abbiamo intrapreso è quella giusta. Don Luigi non è solo: ha accanto le istituzioni, i comuni. Per noi è un faro. Le parole di Riina sono quelle di un disperato. La Sicilia sta cambiando. I mafiosi, con la loro barbarie, hanno rovinato l’immagine di un territorio. Noi stiamo cercando di dare un’immagine diversa alle nostre terre. Oggi i turisti non cercano più i luoghi delle stragi: vengono a visitare le cooperative che gestiscono i beni confiscati alla mafia”.

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