francescoDi Emanuela Vinai
Dopo la denuncia alla Polizia postale e il grido d’allarme lanciato per ogni dove, il falso profilo Facebook di Andrea Camilleri è stato cancellato. L’account “fake” attivato dai ladri d’identità che in questi mesi hanno aperto e riempito con dovizia di contenuti la finta pagina social dello scrittore siciliano, è stato rimosso e ha smesso di far danni. Almeno si spera. Ma le pagine che raccolgono migliaia di entusiastiche adesioni sfruttando il nome del papà del Commissario Montalbano sono ancora parecchie e fermarle non è facile nemmeno per chi di crimine se ne intende. E non solo sulla carta. Il fenomeno è più diffuso di quanto si pensi.
A farne le spese sono spesso vittime eccellenti che, una dopo l’altra, si sono trovate nella spiacevole situazione di dover ricorrere ad appelli accorati, ancorché stizziti, per ribadire la propria estraneità rispetto all’omonimo usurpatore virtuale. Una dimostrazione esasperata e furibonda di esistenza in vita reale per difendersi da una superflua e scomoda vita virtuale, dimostratasi ahimè non solo autonoma ma inopinatamente ricca di spirito d’iniziativa e di presenza sociale. Il perché tutto questo possa accadere e mettere sane radici lo ha spiegato proprio Camilleri: “È un fenomeno curioso, singolare, mi capita di dire a tante persone che quella pagina è di qualcuno che si spaccia per me, che dà giudizi, consigli, mi addossa responsabilità e che io invece non sono in internet. Bene, la risposta è questa: non mi credono”. Nemmeno a ribadirlo dal vivo, di persona: non gli credono. E mica solo a lui.
Il grado di credito e peso della presenza sul web ha assunto una portata pari a quella del Rio delle Amazzoni in piena e se non ci sei, beh, come non ci sei? Non è semplicemente possibile che tu non ci sia. Già susciti scetticismo sospettoso, risatine di scherno e sguardi di compatimento quando dichiari la tua noncuranza digitale da anonimo cittadino del mondo, figurarsi se sei un personaggio minimamente di dominio pubblico. Se esisti, sei sui social. Devi esserci. Anzi, no, riformulo correttamente. Siamo al paradosso opposto. Esisti e dai prova di essere reale (cioè vivo e vegeto) se sei sui social e interagisci in tempo zero con utenti, followers, seguaci, credenti, amici, contestatori, conoscenti e tutti quelli che passano di là e dicono bù.
In sintesi, per dirla con Albertone redivivo: “ma ‘ndo vai se il profilo non ce l’hai…” Luogo comune consolidato che facilita di molto la vita ai malintenzionati, questi sì sempre a caccia di uccellini non arrabbiati ma affamati di contatti con chi, nella vita vera, nemmeno li lambirebbe non solo per ovvie distanze chilometriche. Nel regno dell’intangibile i gradi di separazione sono decisamente meno di sei e l’illusione di poter dialogare e scambiare idee e pensieri con chiunque, anche e tanto più quando irraggiungibile in altre forme, è talmente seduttiva da risultare avvincente. E in un certo senso è così, o quasi. Sì, perché secondo i guru della comunicazione che si agitano a vari livelli per spiegarci come la strada dell’essenza (che ci piaccia o no, dicunt) passi ormai inevitabilmente per la foresta immateriale eppur fitta dell’online condivisione (solo virtuale eh, per carità!), l’utopia della partecipazione totale non prevede l’assenza deliberata, pena l’irrilevanza amara conseguenza?
Tanto per fare un esempio particolarmente sentito, per l’utente medio è inimmaginabile che il Papa Francesco che dispensa carezze, suggerimenti, ammonimenti e benedizioni assortite da quella pagina così bella di Facebook non sia proprio lui. Ma come? Un Papa così mediatico (e infatti usa Twitter), dialogante, aperto, vicino ai bisogni e ai cuori, come fa a non essere sul social più usato e più amato? Non può che essere lui, in persona. Poi quelle frasi brevi, efficaci, asciutte, semplici e piene di buon senso. È il suo stile, di certo. E invece no, non lo è, è solo l’opera di scaltri impostori che giocano con i sentimenti, i dolori, la fragilità di tante persone. Di chi cerca ansiosamente un cenno di ascolto, una parola, un conforto, così da lasciare recapiti privati e numeri di telefono aspettando un contatto che confermi la sua, di esistenza in vita. E i “like” si sprecano.

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