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Il calcio si fa bello se gioca per la pace

Non è stata una partita di beneficenza come se ne vedono tante altre. Quella disputata ieri sera allo Stadio Olimpico di Roma è stata l’ennesima dimostrazione della bontà del cammino interreligioso che il Papa sta percorrendo con vigore in nome di un bene comune irrinunciabile e urgente: la pace. Quasi una riproposizione, almeno nei gesti, della storica invocazione per la pace in Terrasanta fortemente voluta da Francesco nel mese di giugno e culminata con l’ulivo piantato insieme a Shimon Peres, Mahmoud Abbas e Bartolomeo nei Giardini Vaticani a conclusione dell’incontro. Questa volta, seguendo il testo di una sceneggiatura capovolta che mantiene il ritmo di un dialogo ininterrotto, l’ulivo donato dal Santo Padre è stato piantato in apertura della partita come simbolico calcio d’inizio. Poi la festa sul campo è stata la protagonista.
All’appello di Francesco hanno risposto le glorie del calcio di ieri e di oggi: da Maradona a Baggio, da Simeone a Buffon, da Maldini a Shevchenko. Con qualche defezione importante dell’ultimo minuto, come l’assenza di Lionel Messi a seguito dell’infortunio muscolare subito in campionato, e il conforto tra gli spettatori nel rivedere quelli che un tempo furono campioni (dello sport e del fisico). Calciatori di Paesi e culture lontane, con una forte e nutrita rappresentanza argentina, in rappresentanza di religioni diverse – buddista, cristiana, ebraica, induista, musulmana, shintoista – ma accomunate dal desiderio di pace. A fare da cornice un pubblico di circa 20mila spettatori che, sebbene non fosse in grado di riempire le tribune, ha dimostrato però tutto il suo calore in risposta al messaggio consegnato dal Papa nel pomeriggio ai calciatori: “La discriminazione è un disprezzo, e voi con questa partita di oggi, direte ‘no’ a ogni discriminazione. Le religioni, in particolare, sono chiamate a farsi veicolo di pace e mai di odio, perché in nome di Dio bisogna portare sempre e solo l’amore”.