Anziani

di Gigliola Alfaro

Andare in un Paese straniero, lontano da casa, per permettere a chi resta di condurre un’esistenza migliore. Sembra di ritornare alla fine dell’Ottocento, o inizi Novecento, quando a imbarcarsi per le Americhe, in cerca di fortuna, erano tanti uomini italiani. E, invece, parliamo di un’emigrazione dei giorni nostri, che vede protagoniste le donne dell’Europa dell’Est che arrivano in Italia, come in altri Paesi dell’Ue, per fare le badanti o le colf. Scelte di vita certamente dolorose, ma quando si parte forse non si è pienamente consapevoli dei rischi. Certe volte, questo lavoro può costare veramente caro, come nel caso della colf ucraina Oksana Martseniuk, decapitata a Roma in un raptus di follia da Federico Leonelli domenica 24 agosto. Ma pur senza arrivare a episodi così drammatici, esiste anche un’altra forma strisciante di disagio, che due psichiatri ucraini, Andriy Kiselyov e Anatoliy Faifrych, per primi hanno individuato: la “sindrome Italia”, una depressione che nei casi più gravi porta anche al suicidio.
Poco apprezzamento. “Quello che è successo nei giorni scorsi a Roma è un caso isolato. Si è trattato di una colf sfortunata, che si è trovata al momento sbagliato nel posto sbagliato”. A dirlo al Sir è Raffaella Maioni, responsabile nazionale di Acli Colf. Ma “ci sono forme di sfruttamento legate alle molte ore di lavoro svolte durante la settimana e forme di violenza psicologica, sotto il ricatto del licenziamento”. Non mancano altri tipi di molestie: “Le colf vivono in casa e possono ricevere avances da parte dei datori di lavoro. Una forma di molestia che non riguarda l’essere colf, ma l’essere donna”. Inoltre, c’è “un comportamento meno rispettoso nei confronti delle colf”, soprattutto “straniere”, sia perché “c’è maggiore prossimità, vivendo spesso in casa con i datori di lavoro” sia perché “non hanno una famiglia vicina alle spalle”. “Apprezziamo di più il lavoro dei collaboratori domestici e dei badanti: è un servizio prezioso”, ha ricordato, in un tweet, Papa Francesco il 29 luglio scorso. Già domenica 15 giugno, dopo la recita dell’Angelus, il Pontefice aveva rivolto “un pensiero speciale alle collaboratrici domestiche e badanti”. Un lavoro importante, spesso insostituibile, nelle famiglie con disabili e malati. Eppure, “è un lavoro che non ha gratificazione sociale – evidenzia Maioni -. Le lavoratrici dicono di essere molto orgogliose del loro lavoro, come emerge da una ricerca delle Acli Colf, ma si rendono conto che gli altri non gli attribuiscono un valore sociale”.
Sindrome Italia. Quello delle badanti, soprattutto, può essere un lavoro logorante e vissuto in solitudine. “La depressione di cui soffrono le badanti è simile alla sindrome del burn-out di chi opera nei servizi sociali, soprattutto quando la cura viene delegata a loro al 100%”, spiega Maioni. A questo si aggiunge la lontananza della famiglia. “Quando tornano a casa – precisa – queste lavoratrici fanno fatica a inserirsi di nuovo nel contesto sociale, perché spesso vengono considerate come madri che hanno abbandonato i figli, malgrado i sacrifici fatti per dare loro un futuro”. Ed è proprio, allora, che si manifesta quella che è stata ribattezzata come “sindrome Italia o della badante”, come ci racconta Silvia Dumitrache, presidente dell’Adri (Associazione donne romene in Italia): “È una forma di depressione molto profonda e rischiosa che può portare anche al suicidio: colpisce solitamente le donne al ritorno nel loro Paese, quando non ritrovano più il loro posto in famiglia”. Tante volte arriva la separazione: “Il paradosso – sottolinea Dumitrache – è che queste donne si sono sacrificate per sostenere la famiglia e dare un futuro migliore ai figli e, alla fine, invece, si distrugge proprio la famiglia”.
“La mamma ti vuole bene”. Una ricerca dell’Unicef parla di almeno 350mila bambini in Romania con un genitore all’estero per lavoro, “orfani bianchi o left behind, come si usa dire – afferma Silvia -. Anche se non ci sono dati ufficiali, attraverso ricerche sui mass media ho contato almeno una quarantina di casi di suicidio di ragazzini in queste condizioni. Dei primi 20 casi parla anche un documentario trasmesso da Raitre, ‘A casa da soli’. La motivazione è sempre la stessa: la lontananza della mamma”. Dumitrache ha lanciato, perciò, il progetto “Te iubeste mama (La mamma ti vuole bene)”, che utilizza Skype e la rete delle biblioteche rumene per mettere in contatto le mamme badanti con i figli a casa. “Anche senza finanziamenti abbiamo implementato il progetto per sei mesi in Romania in cinque biblioteche regionali – dichiara -. Due giorni fa sono stata in una biblioteca pubblica rurale in Moldova, che è la parte più povera, dove ogni giorno almeno 10 bimbi utilizzano il nostro sistema”. Per quanto riguarda i risultati del progetto “abbiamo i dati di una sola biblioteca dove hanno usufruito del servizio oltre 300 bambini”, rivela. Silvia è venuta in Italia per curare il figlio che soffre di talassemia mediterranea. Ora vivono a Milano, dove a breve partirà un nuovo progetto, “Biblioteca, finestra sul mondo”, sostenuto dal Comune di Milano, con il cofinanziamento di Fondazione Cariplo, in collaborazione con l’associazione Soleterre. Avrà base presso la Biblioteca Gallaratese, dove ci saranno mediatrici culturali e uno psicologo. Il progetto durerà da settembre a giugno. “Si accederà in biblioteca per appuntamento in modo che ci sia qualcuno che possa aiutare la persona a utilizzare il computer. Sarà possibile anche ricevere un sostegno psicologico e vivere varie attività di socializzazione e di incontro con serate di musica e di cinema”, conclude Dumitrache.

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