Di Daniele Rocchi

Un mosaico ricco di tessere etniche e religiose, tenute insieme da secoli di convivenza e tolleranza, ridotto in frantumi dai dettami fondamentalisti dei jihadisti sunniti del neonato califfato dello Stato islamico (Is). I territori siriani e iracheni conquistati dalle bandiere nere del califfo Abu Bakr al-Baghdadi sono oggi sempre meno sicuri non solo per le comunità cristiane, ma anche per le minoranze yazide, shabak, mandee e turcomanne. L’Is, infatti, non tollera nessun altro gruppo religioso e per questo ha intrapreso una vera e propria pulizia etnica di balcanica memoria. Stupri, rapimenti, sgozzamenti ed esecuzioni sommarie, unite a saccheggi e profanazioni di luoghi di preghiera e di culto, sono all’ordine del giorno e hanno spinto alla fuga centinaia di migliaia di persone, membri delle diverse minoranze che da sempre abitavano questa area mediorientale. Restare, infatti, significa doversi convertire all’Islam, pagare la tassa di protezione (Jizia) o peggio morire di spada.

La vicenda di qualche giorno fa degli yazidi
, popolo di origine curda, assediati dalle milizie del Califfato sulle montagne che sovrastano Sinjar, che ha spinto il presidente degli Usa, Barack Obama, ad inviare truppe speciali per aprire un canale umanitario e liberare gli assediati, è solo un esempio del grado di persecuzione cui sono sottoposte le minoranze religiose oggi in quella zona. Un altro è rappresentato dall’asta pubblica nel mercato di Nakkasa, a Mosul, di donne yazide, acquistate come schiave per una manciata di dollari. Fatti per cui gli yazidi, fedeli di Taus Malek, il dio pavone, un angelo “decaduto” che finito all’inferno si pente e torna ad aiutare il mondo, sono balzati all’onore della cronaca. Gli yazidi, più o meno 500mila persone che vivono prevalentemente nel distretto di Mosul e nella zona del Sinjar, sono i più numerosi di tutti gli altri gruppi di profughi e, probabilmente, quelli che ricevono meno aiuti. A loro ha fatto visita anche il cardinale Fernando Filoni, il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, inviato personale di Papa Francesco in Iraq. Visitando la comunità di rifugiati di Amadya, Zakho e Duhok, il porporato si è fermato al tempio di Lalish, per incontrare i capi Yazidi ai quali ha consegnato un aiuto economico del Pontefice quale segno concreto della sua solidarietà.

Con cristiani e yazidi, a fare le spese dell’intolleranza dell’Is sono anche gli shabak, una minoranza sciita di origine curda, spesso nelle mire dei fondamentalisti islamici per via del loro credo religioso ibrido, basato su precetti del cristianesimo e dell’Islam. Migliaia di membri di questa minoranza, che abitano nel nord dell’Iraq sono stati costretti ad abbandonare le proprie case per sfuggire alle persecuzioni delle milizie di Abu Bakr al-Baghdadi. Dal 14 luglio uomini del Califfato avevano iniziato a segnare con la lettera N (Nasrani, seguaci del Nazzareno) le case dei cristiani e con la R (Rafidah, quelli che rifiutano) le abitazioni degli shabak e dei turcomanni sciiti. Tutti hanno trovato rifugio ad Erbil, nel Kurdistan, dopo aver camminato per giorni. Accomunati dalla stessa tragedia anche i mandei, altra minoranza religiosa che nel Califfato non ha nessun diritto di cittadinanza. Dai musulmani chiamati anche Sabei (dall’aramaico-mandeo “battezzato”), si stima che la loro comunità conti circa 60mila adepti, di cui oltre 10mila in Iraq, soprattutto nelle grandi città come Baghdad, Bassora, Samara e Nassiriya, e nell’Iran meridionale. I mandei non fanno parte delle “religioni legate al libro” menzionate nel Corano pertanto non hanno mai goduto della protezione della comunità islamica. Perseguitati già sotto Saddam Hussein, dopo la caduta del regime la situazione è ulteriormente peggiorata. Dal 2003 sono aumentati gli omicidi di credenti mandei, gli stupri a danno di donne e ragazze mandee, i rapimenti e le conversioni forzate. Con l’arrivo del Califfato si calcola che centinaia di famiglie mandee siano fuggite verso la Giordania. Tra l’11 e il 12 luglio scorso si è consumata, invece, una delle peggiori stragi per la minoranza turcomanna sciita: circa 700 civili, tra cui “bambini, donne e vecchi”, sono stati massacrati dai jihadisti dello Stato islamico (Is) nel villaggio di Beshir, nel nord dell’Iraq. Ora si teme per la sorte di 20mila turcomanni che i jihadisti assediano nella città di Amerli, da oltre 70 giorni senza cibo, acqua ed elettricità. Popolazione di lingua turca che trae le sue origini dai soldati e funzionari dell’impero ottomano in Iraq, viene considerata per numero la terza etnia in Iraq dopo arabi e curdi. In quanto sciiti, l’Is considera i turcomanni come degli apostati e per questo sono uno dei loro bersagli preferiti. Secondo fonti Onu in Iraq, “se l’Is riuscirà ad entrare in città saranno tutti uccisi. È già successo da altre parti: l’Is uccide gli sciiti che riesce a catturare”.

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