tavecchio

Ricordate la sora Camilla, che tutti la vogliono ma nessuno se la piglia? Ebbene, ora è ufficiale: a Carlo Tavecchio i proverbi, così come l’umore dell’opinione pubblica in questo infuocato agosto, non fanno né caldo né freddo. Alla terza votazione di un’assemblea della Federcalcio che si preannunciava (forse solo nel cianciare del Coni) a sorpresa, il nuovo presidente della Federazione italiana giuoco calcio è stato eletto con il 63% dei consensi. Il rivale, Demetrio Albertini, si è fermato al 34%: a nulla è valso il sostegno del sindacato giocatori, dell’associazione allenatori, degli arbitri e di un gruppo sparuto (ma pesante) di club di Serie A. Insomma, di tutti quelli che il calcio lo giocano.
Ora il neo-presidente della Figc si troverà a dover dimostrare con i fatti quali siano le sue reali capacità di rinnovamento di un movimento calcistico di cui tutti, all’indomani del fallimento brasiliano, hanno avvertito l’urgenza. E quanto sia in grado di mostrarsi indipendente rispetto a quella cordata che lo ha sostenuto e protetto, nonostante il tam tam mediatico incessante e la valanga di tweet che si sono riversati su di lui da ogni angolo del Paese preoccupati che potesse ripetersi ancora una volta l’adagio di Tancredi: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Da spettatori, come tifosi sugli spalti di un campo di calcio, abbiamo assistito ad un fenomeno originale: la dimostrazione tangibile dell’insignificanza dell’enorme pressione dei media (quasi tutti) e del sentire comune. Tanto pubblico, come quello che si augurano di riportare negli stadi, non è servito: le logiche di Via Allegri hanno prevalso. Ci auguriamo che il presidente Tavecchio, alla guida della Lega nazionale dilettanti dal 1999, sappia essere all’altezza del compito. Perché almeno una volta, in questa nostra Italia, possiamo assistere ad un finale meno gattopardesco.

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