cucpdi Giovanna Pasqualin Traversa

 Un mondo giovanile che fa ricerca. C’è un’Italia fatta di trentenni che, pur non nascondendosi le difficoltà e la precarietà della vita accademica, si rimboccano le maniche, investono sulle proprie competenze e si mettono in gioco con sacrificio e determinazione. Si chiude oggi a Roma l’incontro estivo del Centro universitario cattolico (Cuc), struttura della Cei presieduta dal segretario generale monsignor Nunzio Galantino e diretta da Vittorio Sozzi, responsabile del Servizio nazionale per il progetto culturale. Ogni anno mette a disposizione di giovani laureati aspiranti alla carriera universitaria una ventina di borse di studio (21 per l’Anno accademico 2014 – 2015) di 6mila euro annuali l’una, assegnate su un progetto triennale per un totale di 18mila euro, in nove aree disciplinari: artistica, economica, filosofica, giuridica, letteraria, medica, scientifica, socio-politica e storica. Siamo andati a conoscere alcuni dei borsisti che partecipano all’incontro.

Il clima è allegro e disteso e si respirano chiarezza di obiettivi, passione, speranza nel futuro. Anche fiducia nella vita: alcuni sono già sposati e con figli piccoli. Come Paolo Fornari, 32 anni, romano, laurea in filosofia e dottorato a “La Sapienza”, che ha un bimbo di 19 mesi e un bebé in arrivo. Paolo sta concludendo una ricerca triennale su economia, etica e diritto. “Quando mi sono trovato di fronte alle scelte importanti della mia vita, la carriera universitaria e il matrimonio – ci racconta -, ho deciso di fare il salto, pur sapendo che eventuali incarichi stabili sarebbero venuti dopo molto tempo, e sono stato premiato”. Nel secondo anno di matrimonio sono infatti arrivati un incarico annuale all’Urbaniana, riconfermato, e la borsa Cuc. Anche Benedetta Vimercati, 28 anni, laurea in giurisprudenza alla Statale di Milano, dottorato in diritto costituzionale, attualmente due borse di ricerca, una delle quali del Cuc, è sposata da due anni. “Pur nell’incertezza del lavoro – dice – abbiamo deciso che valeva la pena rischiare”. Benedetta si occupa di tematiche biogiuridiche-bioetiche con una ricerca su dignità umana e tutela dei diritti fondamentali in materia di inizio e di fine vita, ed è autrice di una monografia, in corso di stampa, su consenso informato e incapacità di intendere e di volere. “Lo so – ammette -, è rischioso scegliere un tema controverso, sul quale la maggior parte del mondo accademico ha una visione opposta alla mia, come ‘biglietto di presentazione’, ma l’esperienza del Cuc mi ha aiutato a non slegare l’attività di ricerca dall’esperienza di fede”.

“Dobbiamo avere il coraggio di buttarci, non si può passare il tempo a lamentarsi di quello che si vorrebbe avere e non si ha, altrimenti si arriva a 50 anni per accorgersi che non si è costruito niente”, interviene Paola Mastrolia, 29 anni, originaria della provincia di Brindisi, dal 2003 a Piacenza dove si è laureata in giurisprudenza all’Università cattolica. “Ho terminato il dottorato con borsa – racconta -, ma quest’anno sono stata senza stipendio. Solo grazie al Cuc ho potuto proseguire la mia attività”. Paola vorrebbe intraprendere la carriera accademica ma non se ne nasconde le difficoltà: “Ragiono giorno per giorno, se non sarà possibile farò altro”. Tuttavia un traguardo certo ce l’ha: il 1° settembre si sposa. Ricerca e insegnamento a scuola, come Simona Santacroce, torinese trentaduenne, laurea in lettere, dottorato in italianistica all’Università di Torino concluso a febbraio, sposata da 4 anni con un assegnista. Finita la borsa Cuc ha tentato un concorso di cui avrà i risultati in autunno. A luglio 2015 conseguirà la triennale in teologia cui seguiranno specialistica e tirocinio: “La carriera accademica può essere una strada, ma intanto vanno bene gli assegni di ricerca e i periodi di insegnamento nella scuola secondaria”.

Cervelli in fuga? Monica D’Agostini, 30 anni, veronese, laurea in storia all’Università cattolica di Milano, giunta a fine dottorato all’Alma Mater di Bologna, probabilmente andrà in Canada, dove è già stata per quasi due anni grazie alla borsa Cuc. “Sono un’antichista – dice con passione – e lavoro su ellenismo e Medio Oriente”. A Toronto ha conosciuto il fidanzato, disponibile a venire in Italia, “ma tutti e due sappiamo – avverte con una punta di rammarico – che avrei più possibilità io all’estero che lui qui”. Per il 2015 ha fatto domanda di lettorato in Canada e Inghilterra. Anche Timoteo Colnaghi, 27 anni, di Monza, laurea in fisica all’Università di Pavia e all’ultimo anno di dottorato presso la stessa università, punta al Canada, oppure all’Europa del nord o agli Usa. Con la sua ricerca sullo sviluppo di modelli di reti neurali chiosa: “La scienza non è solo successione di formule e teoremi; è in sé umanesimo, e l’apporto che può arrecare alla società è una questione ad ampio raggio”. Perché all’estero? “Sarebbe l’unico modo per entrare in contatto con modelli e schemi diversi”. In Italia la collaborazione “tra fisici e fisiologi è spesso difficile”.Miriam Giovanna Leonardi, 32 anni, laurea in storia dell’arte e dottorato alla Statale di Milano, ha potuto proseguire l’attività di ricerca grazie al Cuc, ma ha inoltre conseguito l’abilitazione e insegna italiano, storia e geografia alla scuola media. Da Bogotà ha ricevuto una proposta biennale di insegnamento in un liceo scientifico. “In autunno – spiega – sono in partenza per la Colombia. Se mi troverò bene ci resterò. Poi vedremo”. Francesco Budini, 30 anni, laurea in scienze motorie al Foro Italico, è invece al primo anno di borsa Cuc, ma nel suo vissuto c’è un anno in Scozia e uno in Cina, e un dottorato in Irlanda. Sposato da sei anni, è padre di una bimba di quattro. Al termine del triennio partirà. “Inevitabile – commenta -. La borsa mi consente di rimanere in Italia, ma poi dovrò andare all’estero per almeno una decina d’anni per formarmi e ‘costruire’ un curriculum tale da consentirmi un eventuale ritorno”.

Scienziata e donna. Si muove a suo agio senza sentirsi discriminata in “un mondo accademico ancora piuttosto maschile”, la matematica Elisabetta Repossi, 29 anni, di Vigevano, laurea a Pavia e dottorato (fino a dicembre) al Politecnico di Milano su modelli e metodi matematici per l’ingegneria, al termine della borsa triennale Cuc. Il suo futuro? “Le difficoltà non mancano ma non mi scoraggio, abbandonare mi sembrerebbe un furto verso chi ha investito su di me”. Riccardo Bettin, 31 anni, di Padova, dopo il dottorato all’Università patavina sta frequentando il primo anno della Scuola di specializzatone in farmacia ospedaliera e per questo ha rinunciato all’ultima annualità della borsa Cuc, ma è venuto lo stesso all’incontro: “esperienza arricchente che offre la possibilità di confrontarsi con ambiti diversi dal proprio”.

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