Di Bruno Desidera

Non cessa il maltempo in Paraguay. Le piogge flagellano da settimane il Paese e hanno provocato l’esondazione dei principali fiumi, il rio Paranà e il rio Paraguay. Si pensa che nei prossimi mesi, con l’arrivo della “tradizionale” stagione delle piogge, la situazione possa anche aggravarsi. I dati ufficiali parlano di 200mila sfollati, quelli ufficiosi parlano di oltre 300mila persone. Ma molte di più sono quelle che, già in situazione di povertà o ai limiti dell’indigenza, hanno perso le poche cose che avevano: campi, raccolti, animali. Come riferisce l’agenzia Aciprensa, nei giorni scorsi Papa Francesco ha inviato una donazione di 50mila dollari alle diocesi più interessate dall’alluvione. Tra le zone più colpite, oltre alla capitale Asuncion, anche il territorio di Ñe’embucu, nel Sud del Paese. Proprio in questa zona operano i missionari fidei donum della diocesi di Treviso: don Gianfranco Pegoraro, don Giovanni Fighera e la cooperatrice pastorale Luigina Bragato.

La testimonianza dei missionari. Ecco come descrivono la situazione: “La zona del Ñe’embucu, dov’è situata la nostra missione, appare come un’area che l’uomo ha strappato alla natura. È un territorio grande come il Veneto, pieno di paludi, lagune, fiumi, grandi aree coperte di giuncaie con zone di pascolo e poco bosco. L’uomo ha costruito strade, fissato villaggi, recintato aree per allevare mucche e per la piccola agricoltura. Ora tutto è coperto d’acqua: molte strade e piste di terra che portavano ai villaggi sono interrotte; si può passare solo con trattore, in canoa o a cavallo… e con molta fatica! A volte sono necessarie 5-6 ore di viaggio per fare a mala pena 20 chilometri”.

Case circondate dall’acqua. Da San Juan Bautista don Gianfranco Pegoraro dice: “I fiumi stanno straripando tutti, molte strade sono impercorribili. Ma soprattutto si vedono tante mucche e pecore morte, tutti i raccolti sono andati perduti. Qui la gente vive ai limiti della sussistenza”. Nella descrizione dei missionari l’aspetto di molti luoghi è desolante: “Case circondate dall’acqua, se non allagate; mucche senza cibo, sfinite, destinate a morire per il freddo lungo le strade. Molte famiglie hanno dovuto vendere a un prezzo molto basso i loro animali prima che morissero, per poter almeno recuperare qualcosa dei loro beni. Dall’acqua spuntano le recinzioni delle proprietà e molte case sono state abbandonate. Lungo l’unica strada asfaltata alcune famiglie hanno montato tende di fortuna. Con queste piogge si sono persi molti raccolti di sussistenza di mais, manioca, patate, cotone”.

La gente non ha più nulla. Nella zona di Tacuaras, ancora più colpita dalle alluvioni (non è lontana dalla città di Pilar e dalla confluenza del rio Paraguay sul rio Paranà) operano invece don Giovanni Fighera eLuigina Bragato. “Al momento stanno arrivando viveri e soccorsi – spiega don Giovanni. Ma la situazione si farà difficile nei prossimi mesi. La gente non ha più nulla e si va verso l’inverno. Moltissime persone sono fuori casa”. Insomma, il disagio sicuramente si prolungherà per molto tempo, anche dopo la fine dell’emergenza: “In questa situazione la nostra gente non può neanche seminare per la prossima stagione. Nei prossimi mesi non avranno niente da raccogliere e nessuna scorta alimentare”. Le istituzioni civili (lo Stato e i Comuni) stanno cercando di rispondere all’emergenza con distribuzione di viveri e vestiario. Scarseggiano soprattutto latte e zucchero (alimenti, in questo frangente, molto cari).

Preziosa vicinanza. Spiegano i missionari trevigiani: “Stiamo collaborando con la pastorale sociale diocesana (la nostra Caritas) e con il Comune per cercare di dare piccoli segni di speranza alla nostra gente: abbiamo distribuito dei vestiti e alimenti a delle comunità contadine più disagiate. Molte persone della nostra parrocchia hanno manifestato la loro solidarietà verso i loro fratelli più colpiti collaborando con raccolte di indumenti e cibo o con spettacoli il cui ricavato è andato per far fronte a questa difficile situazione. Ci rendiamo conto che soddisfare tutti i bisogni è impossibile (anche perché correttamente non è opportuno sostituirci ai doveri della società civile) ma preziosa può essere la nostra vicinanza come Chiesa in nome di un Dio prossimo ai dolori dell’uomo”.

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