Di Umberto Siro

Telangana, il 29° Stato della Repubblica dell’India, istituito in forma ufficiale lo scorso 2 giugno e ricavato in gran parte dal territorio dell’Andhra Pradesh, ha come vice primo ministro un medico cattolico di origine dalit: Thatikonda Rajaiah. Come riferisce l’Agenzia Fides, Rajaiah, che è anche ministro della Sanità e dell’Educazione, è stato educato nella missione cattolica di Telangana, curata dai padri del Pime e nel suo impegno politico ha dimostrato grande attenzione ai problemi sociali, agli emarginati, alle minoranze religiose.

L’origine dello Stato. Nel 1956, il Telangana era stato unito con lo Stato dell’Andhra per formare l’Andhra Pradesh. Seguirono numerose proteste nella popolazione. Solo nel 2009 il Governo dell’India annunciò il processo di formazione del nuovo Stato, la cui nascita fu sancita il 30 luglio 2013 dal Partito del Congresso. I passi per la creazione del nuovo Stato hanno richiesto un processo elaborato, concluso nel 2014 con l’approvazione, da parte dei due rami del Parlamento e del presidente dell’India, della legge che separa il Telangana dall’Andhra Pradesh.

Il memorandum dei vescovi.
 In occasione della nascita ufficiale del nuovo Stato, il Consiglio dei vescovi ha inviato un “memorandum” al nuovo governo, scrivendo, tra l’altro, che “la Chiesa in Telangana, anche se una minoranza, contribuisce al 25% dei servizi sociali nel campo dell’istruzione, della sanità e dei servizi sociali, in particolare destinati alle fasce più povere e ai più deboli”. Il “memorandum” chiede di cancellare le discriminazioni che subiscono i cristiani dalit; di continuare a sovvenzionare le istituzioni educative gestite dalla Chiesa; di rimuovere il divieto di “propagare la propria religione, garantendo la libertà di religione” e di prevenire in ogni modo la violenza intercomunitaria. I vescovi, inoltre, invitano l’esecutivo del nuovo Stato a sostenere economicamente gli sforzi che la Chiesa compie nel fornire infrastrutture per malati, bambini di strada, senzatetto, disoccupati, disabili, tossicodipendenti, nonché a dare attenzione alla pastorale carceraria, ai diritti dei bambini e all’emancipazione femminile.

Dalit, gli oppressi. In India, i dalit sono oltre 250 milioni, la gran parte dei quali vivono in condizione di grave discriminazione. Si tratta per la maggior parte di braccianti schiavizzati dai latifondisti e di poveri emarginati. Sono esclusi dal mercato del lavoro e dalle attività sociali. Quando poi è concesso loro di lavorare, vengono costretti a condizioni di semi-schiavitù. Forme di esclusione si registrano anche in campo educativo: il 66% dei dalit è analfabeta. Dei circa 30 milioni di cristiani si stima che quasi il 70% siano dalit, oppressi anche a causa della loro fede, soprattutto da parte dei movimenti nazionalisti, come il Bharatiya Janata Party. Già discriminati in quanto appartenenti a una minoranza religiosa, i dalit cristiani sono ancor più penalizzati rispetto ai fuori casta affiliati ad altre religioni. Il Governo indiano, infatti, esclude i cristiani dalit dalle politiche sociali a favore dei fuori casta indù, sikh o buddisti, in virtù della loro conversione. I dalit non cristiani usufruiscono della quota di posti di lavoro riservata per legge ai gruppi sociali discriminati, mentre i cristiani non ne hanno diritto. La Chiesa in India è sostenitrice dei diritti dei dalit e in molte occasioni, tramite i vescovi, ha detto la sua parola a difesa dei diritti e della dignità delle persone.

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