Angelo ha finito il suo percorso riabilitativo di 18 mesi. Non vede l’ora di riabbracciare sua figlia Giorgia, 9 anni, che lo aspetta con tutta la famiglia per ricominciare. Ma prima di ritornare “là fuori”, ha un appuntamento importante, a cui non avrebbe mai immaginato di essere invitato. “Saman” significa “canzone”. Per gli ospiti dell’omonima comunità residenziale terapeutico-riabilitativa di Cassano all’Jonio, la “musica”, dopodomani, sarà davvero nuova: sei di loro, più la responsabile e uno degli educatori della struttura, pranzeranno con il Papa in seminario, insieme ad alcuni poveri assistiti dalla Caritas. In tutto, 40 persone. Nella zona di Cassano dove sorge ora la comunità “Saman”, fondata 30 anni fa da Mauro Rostagno, il sociologo e giornalista ucciso a Trapani in un agguato di mafia il 26 settembre 1988, prima c’era un grosso allevamento di polli gestito da un boss mafioso, Francesco Cirillo, poi il Comune ha requisito l’area che è passata alla comunità. Fiammetta De Salvo, la responsabile, ha 46 anni. Con semplicità racconta, davanti a una tazza di caffè, come ci “vive” da 20 anni, da quando fresca di laurea è stata presa “in una maniera strana” da questo luogo. E soprattutto dalla sua gente, che difende con un pudore che s’intuisce da come tace i dettagli delle loro “vite compromesse”, come le definisce. Un invito al rispetto, che va accolto.

Nove persone, e un prete “su richiesta”. 
In trent’anni, da quando è nata ad oggi, “Saman” è cambiata, dice Fiammetta: “Prima si lavorava in gruppi, oggi i nostri percorsi sono personalizzati. Anche l’utenza è cambiata: la maggior parte dei nostri ospiti erano cocainomani, oggi sono policonsumatori: ‘si fanno’ di tutto, pur di sballarsi”. Saman accoglie attualmente 22 ospiti, in una struttura che può contenere al massimo 30 utenti: l’età varia dai 18 ai 60 anni, sono in maggioranza uomini. “Le donne – spiega la responsabile – sono in genere più difficili da trattare, soprattutto perché sono molto più compromesse, hanno tragedie importanti alle spalle e per loro è molto più difficile il recupero”. L’équipe di Saman è composta da 9 persone in tutto: oltre a Fiammetta, ci sono 5 educatori specializzati nei percorsi di recupero, due psicologi e un medico volontario che cura la parte sanitaria. È presente anche un sacerdote, “ma solo su richiesta”, perché Saman è una comunità “laica”.

La sorpresa più grande. E proprio questa, per Fiammetta, è la sorpresa più grande. Quando le chiediamo qualcosa sul “clima” pre-visita, ci tiene a precisare due cose: la prima è la gratitudine verso il vescovo, monsignor Nunzio Galantino, che è arrivato e li ha aiutati “in un periodo per noi buio, di forte crisi e con la sua presenza ci ha ridato smalto, energia. Da quando c’è lui, è come se avessimo un angelo custode: nonostante non sia sempre presente fisicamente, lo sentiamo sempre vicino a noi”. La seconda, quella che riassume da sola tutto il senso della giornata di sabato, è la meraviglia per essere stati scelti dal Papa come uno dei luoghi deputati ad accogliere la sua presenza. “Non avremmo mai pensato di essere scelti e accolti, come struttura laica”, ci confessa: “Invece, abbiamo gli stessi obiettivi e l’unione fa la forza”.

Favorire il reinserimento. 
Sveglia alle sette, alle otto colazione, quando non c’è la “meditazione dinamica” una mezz’oretta prima del risveglio. Comincia presto la giornata degli ospiti di Saman, ognuno dei quali dopo colazione si occupa di un aspetto dell’andamento della casa, con i compiti che vengono affidati dal capo settore, in base alla capacità di ciascuno di affrontare le frustrazioni e il contatto con gli altri. Poi arrivano i colloqui psicologici, il punto della situazione con gli educatori, i gruppi verbali e alle 18 la meditazione prima della fine della giornata. E dopo i 18 mesi del percorso? “Dopo la regionalizzazione – spiega Fiammetta – non si può più operare fuori regione, e dunque si rimane in Calabria, dove s’incontrano ostacoli non indifferenti. Noi cerchiamo comunque di favorire il reinserimento, magari nei settori agricolo o turistico che sono quelli più promettenti nel nostro territorio, attraverso una fase di rodaggio con l’esterno e coinvolgendo anche le famiglie, laddove ci sono famiglie che supportano”.

Avventura, non fatica. La burocrazia, le aziende sanitarie, la Regione: tutti “paletti” che a volte rendono quella che Fiammetta definisce “un’avventura” in “una grande fatica”, perché “mi rubano il tempo che dovrei e vorrei dedicare a stare di più con i ragazzi”. L’arrivo del Papa, per Fiammetta, “può aiutare a lanciare il messaggio che anche le persone che vivono qui vanno sostenute come vere e proprie creature. Questo tipo di non profit è molto trascurato, e abbiamo problemi enormi dal punto di vista economico, soprattutto per chi è pagato dal servizio sanitario, con ritardi enormi e mancati pagamenti. Chi ne fa le spese sono gli operatori sanitari, che restano senza stipendio per mesi. E parliamo di stipendi minimali, che servono ad affrontare la vita in maniera più serena”. Come fa Angelo, che oggi non ha più paura: in famiglia avevano un’azienda, ma con la crisi le cose andavano male e l’hanno dovuta chiudere. “Bisogna adattarsi a qualsiasi cosa – ci dice – ma io sono fiducioso: le capacità ci sono, ho una laurea in giurisprudenza. E ora conosco anche i miei limiti. So che ce la farò”. E poi, vuoi mettere il sorriso di Giorgia?

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