In Centrafrica torna la paura. Dopo un periodo di relativa tranquillità, nel pomeriggio del 28 maggio uomini armati hanno attaccato con granate la parrocchia “Nostra Signora di Fatima”, nella periferia di Bangui, la capitale. “Le notizie – riferisce al Sir monsignor Franco Coppola, nunzio apostolico in Centrafrica e Ciad – sono ancora per molti versi frammentate e contraddittorie, anche perché i miliziani non vogliono che si sappia quanti uomini hanno perso; i parenti di certe vittime, come segno di sfiducia nelle istituzioni, si rifiutano di far avvicinare la Croce Rossa, mentre i fanatici, di una parte come dall’altra, hanno interesse a gonfiare i numeri. Per ora le fonti più autorevoli parlano di una quindicina di vittime e una quarantina di feriti dell’attacco portato contro le circa 4.000 persone che si erano rifugiate sui terreni che fanno parte del complesso della parrocchia, a poca distanza dal tristemente conosciuto km 5, zona dove si trova l’ultima significativa comunità musulmana della capitale, protetta dai soldati della Misca (Unione Africana) e circondata e insidiata dai miliziani anti-balaka”. Contattiamo il nunzio a Bangui. Ecco il suo racconto.

Eccellenza, cosa sta succedendo? Perché questo attacco? 
“La capitale aveva conosciuto una certa calma e una riduzione degli episodi di violenza, tanto da incoraggiare una Ong che lavora nel campo della riconciliazione a organizzare per sabato scorso un incontro di calcio tra giovani cristiani e musulmani. Purtroppo, quella stessa mattina, tre dei giovani musulmani che dovevano giocare sono stati intercettati da alcuni miliziani anti-balaka che non solo li hanno uccisi ma li hanno anche selvaggiamente e orrendamente mutilati. L’attacco del 28 maggio è la risposta a quell’atto vile e crudele con un altro atto vile e crudele, diretto verso la popolazione civile e indifesa che si era rifugiata sui terreni della parrocchia: nella loro furia, gli attaccanti hanno gettato granate e sparato in tutte le direzioni, anche all’interno della chiesa ci sono i segni degli spari, ma non ci sono state persone ferite o uccise al suo interno perché in quel momento era vuota. La spirale della vendetta non si è arrestata… subito gli anti-balaka hanno decretato per il 29 maggio una ‘giornata della vendetta’: sono state erette barricate su tutte le strade per impedire la circolazione delle vetture e mi giunge notizia che una moschea della capitale è stata attaccata e devastata. Non è difficile pensare che quest’ultimo gravissimo gesto non resterà purtroppo senza conseguenze”.

Tutto ciò significa che la situazione è andata peggiorando nelle ultime settimane? Oppure è una realtà isolata che riguarda solo la capitale Bangui? 

“Direi che è vero il contrario: la situazione in queste ultime settimane era andata molto peggiorando all’interno del Paese, mentre la capitale viveva una strana calma, che ora è stata bruscamente interrotta. Io sono arrivato da poco nel Paese, ma non posso fare a meno di notare che ai primi di marzo le due milizie che si confrontano nel Paese (gli ex-seleka, a maggioranza musulmana, e gli anti-balaka, nettamente anti-musulmani) avevano una certa riserva ad agire allo scoperto e non osavano mai affrontare le forze internazionali, oggi invece si moltiplicano gli episodi di scontri tra queste milizie e le forze della Misca (Unione Africana) di Sangaris (Francia) e Eufor (Unione europea), che invece sembrano avere un certo timore ad affrontare queste milizie… Danno l’impressione di non sentirsi più in grado di assicurare la sicurezza e tantomeno di procedere al disarmo di queste milizie, che sono poi le missioni che hanno ricevuto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e che giustificano la loro presenza sul territorio”.

Dopo questo attacco, cambierà qualcosa nel ruolo della Chiesa? Le parrocchie saranno sempre aperte per i profughi, cristiani e musulmani? 

“Non c’è alcuna ragione perché cambi l’atteggiamento della Chiesa, e non cambierà… Ma questo gesto ha reso ancora un po’ più barbara questa crisi, con la ‘violazione’ di uno spazio sacro, che finora era stato rispettato da tutti”.

Quest’attacco potrebbe sfociare in una guerra di religione nel Paese? 
“Non è non sarà mai, credo, una guerra di religione nel senso classico, cioè di cercare d’imporre con la forza la propria fede, magari obbligando gli altri a convertirsi. È invece una classica guerra civile, in cui i confini tra le due comunità sono individuati dall’appartenenza religiosa, in cui l’oggetto del contendere non è la fede ma il potere e il controllo sulle notevoli risorse del sottosuolo della Repubblica Centrafricana e in cui le fila sono tirate da personaggi senza scrupoli che mirano esclusivamente alla conquista del potere e cercano a questo scopo di farsi scudo o protettori di una parte della popolazione”.

Qual è il suo appello alla comunità internazionale? 
“La situazione nella Repubblica Centrafricana è gravissima, con un’autorità di transizione che non dispone di Forze armate e di sicurezza proprie, con una pubblica amministrazione cui non riesce ad assicurare lo stipendio, con forze politiche che invece di essere comprese della pericolosità della situazione cercano perlopiù di posizionarsi in vista delle elezioni previste per il 2015: il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso d’intervenire, sì, ma non sono sicuro che le forze previste siano sufficienti a controllare il Paese e, inoltre, il loro dispiegamento è previsto, al più presto, solo per il prossimo mese di settembre. Speriamo che, da qui a settembre, la situazione non sia ulteriormente peggiorata”.

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