religioseDi M. M. Nicolais
“È inaccettabile che, nel nostro mondo, il lavoro fatto da schiavi sia diventato moneta corrente”. Chiare e nette le parole del Papa, nel messaggio indirizzato il 28 maggio all’Ilo, l’organizzazione delle Nazioni Unite dedicata al lavoro. “Questo non può continuare!”, il grido di Francesco, che è tornato a ripetere che “la tratta di esseri umani è una piaga, un crimine contro l’intera umanità”. A due settimane dall’inizio dei Mondiali di calcio in Brasile, le suore impegnate in prima linea contro quella che ormai, dati alla mano, è la forma di schiavitù più estesa del ventunesimo secolo, con 27 milioni di persone coinvolte e un giro di affari che si aggira intorno ai 32 miliardi di dollari (ma la cifra è in continuo aumento), sono pronte a lanciare la Campagna “Gioca a favore della vita. Denuncia la tratta di persone”, nelle 12 capitali che accoglieranno le partite della Coppa del Mondo, in una terra, il Brasile, che nei Paesi latinoamericani e caraibici è il “capoluogo” del turismo sessuale. Ogni anno, da 800mila a 2 milioni di persone sono vittime della tratta: il 67% sono donne, il 13% uomini, il 27% bambini e minori, che vengono trafficati per sfruttamento sessuale, lavoro forzato, servitù domestica e rimozione degli organi. Ne abbiamo parlato con suor Estrella Castalone, coordinatrice di “Talitha Kum” – la Rete internazionale della vita consacrata contro la tratta di persone – e suor Gabriella Bottani, coordinatrice in Brasile della rete “Um Grido per la Vida”. Per conoscere e aderire alla campagna, si può “cliccare” suwww.facebook.com/joqueafavordavida, o curiosare nel blog della citata rete brasiliana.
Suor Estrella, ci racconta come è nata “Talitha Kum”?
“La nostra rete è nata dopo il congresso 2009 ‘Religiose in rete contro la tratta di persone’, promosso da Uisg e Oim e finanziato dal governo Usa. L’obiettivo generale e quello di condividere e ottimizzare le risorse che la vita religiosa possiede a favore degli interventi di prevenzione, sensibilizzazione e denuncia della tratta di persone e la protezione e l’assistenza delle vittime e delle persone vulnerabili. Dopo cinque anni, oggi Talitha Kum comprende 24 reti che rappresentano 79 Paesi, con oltre 800 religiose e religiosi di 240 congregazioni coinvolte, tutte impegnate a fermare la tratta di persone”.
Perché secondo lei la “squadra” delle religiose, per usare una metafora calcistica, è in vantaggio nel combattere questa nuova schiavitù?
“Perché noi ci troviamo nei luoghi più poveri, tocchiamo con mano le diverse forme di povertà. Siamo a contatto diretto con la persona umana, tocchiamo con mano la vita più miserabile. Talitha Kum s’impegna a tessere insieme le molte risorse della vita religiosa con altri settori della società, in una rete che mira a dare vita e speranza alle persone coinvolte dalla tratta, che è una rete criminale molto ben organizzata e ben collegata da una parte del mondo all’altra: solo attraverso una rete di salvezza e speranza possiamo impedire che i più deboli e i più vulnerabili diventino una merce umana”.
Quali ulteriori traguardi si augura per il futuro?
“Poter contare sulla presenza della nostra rete in ogni continente, per progettare interventi più mirati e far sì che ogni continente possa rispondere alle esigenze particolarmente sentite sul proprio territorio. L’Europa si sta già muovendo”.
Suor Gabriella, perché avete scelto i Mondiali di calcio in Brasile per la vostra campagna?
“Il Brasile è Paese di origine, transito e destinazione delle persone vittime della tratta, che coinvolge soprattutto donne giovani, originarie di famiglie povere, con bassi livelli di studio. Il messaggio della campagna, promossa da rete ‘Um grido per la Vida’ con Talitha Kum e con la Conferenza dei vescovi del Brasile, vuole far sì che la Coppa del Mondo diventi uno spazio positivo e propositivo, per promuovere una cultura dei diritti e della vita denunciando tutte le forme di sfruttamento che la svalorizzano e la mercificano. Il punto di partenza è una constatazione: i rischi della tratta per sfruttamento sessuale e lavoro si incrementano in relazione ai grandi eventi, come è stato durante i Mondiali in Germania e in Sudafrica, dove si è avuto rispettivamente un aumento del 30 e del 40%. Durante tutto questo tempo di preparazione al grande evento del campionato della Fifa abbiamo osservato che le minacce e le opportunità non giocano nello stesso campo: da un lato, le possibilità di un maggior guadagno e speranza di migliorare le condizioni di vita, dall’altro un aumento delle situazioni di degrado sociale e minacce alla vita e ai diritti fondamentali”.
Qual è il rigore che vorreste tirare?
“Nel calcio esultiamo quando vincono i nostri, e ci commuoviamo. Ma noi vogliamo che la Coppa non si alzi solo con i vincitori, ma che si innalzi insieme a tutti coloro che non accettano che la vita sia come un campionato di calcio, dove vince solamente il migliore. Tutti abbiamo il diritto di vincere per avere vita in abbondanza”.

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