Papa Francesco

Di Salvatore Cernunzio da Zenit

La firma della Dichiarazione congiunta, l’abbraccio pubblico nella piazza del Santo Sepolcro, la venerazione della “Pietra” dove il corpo di Gesù fu preparato per la sepoltura e la preghiera sul luogo dove Gesù vinse la morte risorgendo. L’incontro con il Patriarca ecumenico Bartolomeo si preannunciava già l’evento culminante del pellegrinaggio di Francesco in Terra Santa, ma era difficile prefigurare un turbine di emozione tale.

Anche per lo stesso Pontefice che, durante la Celebrazione ecumenica nel Santo Sepolcro, si commuove per l’omelia del suo fratello e, al termine, si china per baciargli la mano, e che pronuncia la sua omelia con un filo di voce. “È una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera”, esordisce il Santo Padre. Questa tomba vuota “è il luogo da cui parte l’annuncio della Risurrezione”, che è “cuore del messaggio cristiano” e “fondamento della fede che ci unisce”.

“Ciascuno di noi ogni battezzato in Cristo, è spiritualmente risorto da questo sepolcro”, afferma il Pontefice. “Siamo uomini e donne di risurrezione, non di morte”. Ed è questa “la grandezza della vocazione cristiana”. Non si può restare dunque impassibili, ma bisogna essere pronti ad accogliere il fiume di grazia che sgorga da questo luogo.

Da esso, dice il Papa, “apprendiamo a vivere la nostra vita, i travagli delle nostre Chiese e del mondo intero”. E, da esso, ricordiamo che “ogni ferita, ogni sofferenza, ogni dolore, sono stati caricati sulle proprie spalle dal Buon Pastore”, le cui “piaghe aperte” sono “il varco attraverso cui si riversa sul mondo il torrente della sua misericordia”.

“Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza!”, esorta allora Bergoglio, “non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione”, tantomeno “restiamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio da questo luogo”.

Certo, osserva il Santo Padre, “non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù”. Proprio questo spazio sacro ne conserva tutte le fragilità, i drammi e le contraddizioni. Eppure, rimarca il Pontefice, a 50 anni dall’abbraccio di Paolo VI e Athenagora, possiamo riconoscere “con gratitudine” come in questo stesso luogo, “per impulso dello Spirito Santo”, sono stati compiuti “passi davvero importanti verso l’unità”.

La strada è ancora lunga “per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo”; tuttavia – incoraggia Francesco – “le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino”. Anzi, andiamo avanti facendo tesoro di quelle “esperienze di resurrezione” che ci si presentano quotidianamente. Ovvero, “ogni volta che chiediamo perdono gli uni agli altri per i peccati commessi nei confronti di altri cristiani” e “ogni volta che abbiamo il coraggio di concedere e di ricevere questo perdono”. Oppure “ogni volta che, superati antichi pregiudizi, abbiamo il coraggio di promuovere nuovi rapporti fraterni”.

In tutte queste occasioni “brilla la luce del mattino di Pasqua”, sottolinea Bergoglio. E rinnova l’auspicio espresso già dai Predecessori di mantenere “un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma”, in modo che, “in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti”.

L’augurio del Successore di Pietro è, dunque, che si possano accantonare “le esitazioni” ereditate dal passato e aprire il cuore all’azione dello Spirito Santo, incamminandosi “spediti” verso “il giorno benedetto della nostra ritrovata piena comunione”.

Prima della conclusione, il “ricordo orante” di Francesco va all’intera regione del Medio Oriente, “segnata da violenze e conflitti”. Il Papa non dimentica neanche gli uomini e le donne che, in diverse parti del pianeta, “soffrono a motivo della guerra, della povertà, della fame”; come pure “i molti cristiani perseguitati per la loro fede nel Signore Risorto”.

Un vero “ecumenismo della sofferenza” lo definisce il Pontefice, che si realizza “quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna”. Un “ecumenismo del sangue” – prosegue – che possiede “una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa”. “Quelli che per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani – conclude il Papa – non gli domandano se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristiani!”. E “il sangue cristiano è lo stesso!”.

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