Di Gianni Borsa

A dispetto di chi volta le spalle in maniera preconcetta all’Unione europea e al voto del 22-25 maggio, questa consultazione continentale ha davvero innumerevoli motivi di interesse, confermati dall’attenzione dimostrata dai mass media. E il voto potrebbe rivelare sorprese capaci di ridestare – per un verso o per l’altro – un certo coinvolgimento, persino un inedito pathos attorno all’integrazione europea.
In realtà si è già riconosciuto che un “grazie” in tal senso lo si deve alle diverse forme ed espressioni eurocritiche, o euroscettiche, maturate all’ombra della crisi economica e impostesi all’attenzione dell’opinione pubblica. Invocando una Ue “diversa”, “nuova”, “più leggera”, oppure semplicemente scagliandosi contro le istituzioni Ue per chiederne il funerale, i “meno Europa” o i “no Europa” hanno costretto politici, partiti, governi, parlamenti, e persino molti cittadini a soffermarsi su quali vantaggi o svantaggi siano da ricollegarsi all’Unione europea. Così in questi mesi si è tornato a discutere, talvolta con elementi convincenti altre volte solo mediante slogan assai modesti, di crisi e di governance economica, di moneta unica e di occupazione, di Bce e di Unione bancaria, di migrazioni e di fondi di coesione… Addirittura non sono mancate le riflessioni a voce alta sugli accresciuti poteri dell’Europarlamento entro l’architettura istituzionale dell’Unione e quelle sul “peso” del voto visto che esso contribuirà a determinare il prossimo presidente della Commissione europea.
Ci si può peraltro domandare se, proprio in ragione dell’inedito confronto continentale tra chi crede e chi non crede all’integrazione Ue, il tasso di partecipazione al voto sarà più o meno alto rispetto all’ultima elezione (2009, votanti 43%).
Alla novità di questo – ancora incompleto, a tratti forse prematuro – dibattito “senza confini”, si accostano naturalmente i consueti elementi di attenzione, legati per lo più alla lettura in chiave nazionale del voto per l’Assemblea di Strasburgo. Insomma, anche questa volta il ricorso agli euroseggi sarà interpretato come un referendum pro o contro il governo in carica: è quanto emerso ad esempio in Francia, Regno Unito, Italia, Spagna, Ungheria, Grecia, con gli attuali leader politici intenti a rintuzzare le sfide dei vari Le Pen, Farage, Grillo, Tsipras.
Le elezioni 2014, in ragione dell’euroscetticismo dilagante, saranno pure ricordate per un maggior grado di “omogeneità politica”, nel senso che variegate forme di nazionalismo, protezionismo, populismo, xenofobia hanno segnato tutta la carta geografica del Vecchio continente. Si potrebbe obiettare che si tratta di omologazione, più che di omogeneità, in quanto questi movimenti o partiti sono tra loro assai diversi per storia, obiettivi, parole d’ordine e “divise”. Tanto che non va sottovalutata l’eventualità di una loro forte presenza a Strasburgo (il 20-30% dei seggi?), incapace però di trovare forme di raccordo e obiettivi politici da perseguire unitariamente.
Molteplici interrogativi emergono peraltro se si focalizza lo sguardo sulle forze che tradizionalmente si autodefiniscono europeiste: si pensi al Partito popolare europeo, ai Socialisti e democratici, ai Liberaldemocratici, ai Verdi. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, quale sia l’effettiva capacità di presa sugli elettori, la loro forza persuasiva pro-Europa, quali i punti fermi dai quali vorrebbero ripartire per un’Europa ringiovanita, diversa, efficace, in grado di produrre risultati utili ai cittadini.
Ora, però, è giunto il momento di passare dalle parole alle schede elettorali. Non resterà, dalla notte del 25 maggio in avanti, che verificare i risultati delle urne. Quale sarà la futura composizione dell’emiciclo? Quale il rapporto tra le forze pro-Ue e quelle a vario titolo pronte a remare contro? Saranno necessari accordi in emiciclo tra Popolari e Socialdemocratici per l’elezione del Presidente della Commissione con una sorta di “grosse koalition” in salsa europea? Tante domande, accompagnate però da una – non la sola, ovviamente – certezza: nel mondo globale l’interdipendenza tra i popoli e gli Stati europei è cresciuta in ogni settore ed è diventata un elemento stabile della nostra epoca. Interdipendenza – economica, finanziaria, energetica, ambientale, sociale, culturale… – che pone in stretta relazione gli europei anche con il resto del mondo.
Indietro, dunque, non si torna. L’Ue marcia, pur coi suoi limiti e le sue incongruenze, in quella direzione, come hanno sottolineato pressoché tutti gli Episcopati del continente invitando i cristiani al voto. È una prospettiva che può piacere, non piacere o essere accolta e migliorata. Spetta ai cittadini-elettori rispondere.

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