Di Giovanna Pasqualin Traversa

L’impegno a considerare il mercato come un insieme di opportunità e non una gara in cui qualcuno vince a spese di altri, a non trattare mai i lavoratori solo come “un costo” o una “risorsa” per l’impresa, ma a riconoscerne la dignità di persone. E ancora: l’impegno a perseguire un’economia “buona e sostenibile” e a vivere la professione come contributo al bene comune. Questi, in sintesi, i contenuti dei cinque punti della “Promessa Genovesi”, strumento analogo a ciò che è il “Giuramento di Ippocrate” per i medici ma riferibile al mondo dell’economia, presentata ieri mattina a Roma, presso l’Università Lumsa, come “premessa” alla conferenza internazionale interdisciplinare “Economic Theology, Theological Economics”, organizzata oggi e domani dall’Ateneo con Sophia University Institute (Loppiano, Firenze) e con l’Associazione Heirs. Eloquente la chiosa finale del testo, tratta da un pensiero del filosofo ed economista Antonio Genovesi, primo cattedratico di economia nella storia, fondatore nel Settecento della tradizione italiana ed europea dell’economia civile, che dà il nome al “patto”: “È legge dell’universo che non si può far la nostra felicità senza far quella degli altri”. Ne abbiamo parlato con Luigino Bruni, ideatore e promotore dell’iniziativa, e docente presso la Lumsa.

Una proposta di rilevante peso morale e valore simbolico. Come nasce e quali i suoi obiettivi? 
“Oggi si muore non solo per motivi legati alla medicina, ma, e lo vediamo in maniera drammatica, anche per omissioni o errori commessi da economisti, finanzieri, manager; si muore a seguito di decisioni e condotte non etiche di banche e imprese. Per questo l’impegno ‘etico’ di un laureato in economia, il giuramento di attenersi a determinati valori e comportamenti non è meno rilevante di quello richiesto in altre professioni, e può contribuire ad innescare un processo virtuoso di cambiamento dell’agire economico e sociale”.

Quali i contenuti della “Promessa”, e da chi è stato redatta? 

“Il testo, di cui sono il promotore, è stato condiviso con una commissione di docenti di filosofia morale e di etica, ed è frutto di un dibattito pubblico ospitato nei mesi scorsi su alcuni quotidiani e riviste, di un processo cui hanno preso parte anche esperti di deontologia. Ancorché la nostra cultura sia totalmente impoverita sul piano simbolico, sappiamo quanto i simboli e i riti siano importanti nella formazione delle persone, in particolare dei giovani, e quanto aiutino ad ‘accedere’ al mistero della vita, molto più complessa degli aspetti razionali o legati all’interesse utilitaristico. Far leggere e sottoscrivere pubblicamente ad un ragazzo, in un momento significativo come quello della laurea, questo impegno etico, come avverrà qui alla Lumsa dalla prossima sessione di luglio, per noi non sono chiacchiere vuote. La ‘Promessa di Genovesi’ è una piccola pergamena che verrà consegnata in un momento solenne e con modalità adeguate. La sua forza è proprio nella dimensione ‘liturgica’ che la accompagna”.

Per alcune professioni, ad esempio di dottore commercialista, esistono già codici deontologici. Che cosa aggiunge questa “Promessa”? 

“Nel momento della laurea, l’università ricorda al giovane che l’economia ha una dimensione eticamente forte, è un pezzo di vita, e nella vita nulla è eticamente neutro, tanto più in tempi di crisi in cui bisogna operare anche scelte dure. Che l’etica non è un elemento accidentale, ma un bene di prima necessità. Prenderne coscienza, a cominciare dai luoghi da cui escono i futuri professionisti ed operatori economici, può essere il primo passo per avviare una nuova cultura e un nuovo modo di intendere l’economia come scienza umana e morale. Il cambiamento inizia sempre dalle persone”.

A proposito di “scelte dure”, un manager pagato dagli azionisti per massimizzare i profitti della società potrebbe vedersi, suo malgrado, costretto ad una ristrutturazione. Come conciliare questa decisione con l’impegno assunto attraverso la “Promessa?” 
“In ogni professione si può presentare la necessità di scelte tragiche. Il ‘no’ dell’etica alla disonestà o alla corruzione è ovviamente assoluto, ma in molte decisioni della vita economica, aziendale, organizzativa si tratta di valutare il rapporto costi benefici. Non intendiamo affermare che ogni azione di ristrutturazione sia contro l’etica. Al 99% il problema riguarda il ‘come’ e non il ‘che cosa’. Talvolta i licenziamenti sono purtroppo inevitabili, ma occorre ‘accompagnare’ le persone, far sentire che non sono state ‘scartate’; è importante la modalità con cui ci si rapporta con loro”.

Si sostiene all’unanimità che economia, finanza e mercati hanno bisogno di regole. Ma queste possono essere aggirate o eluse. C’è quindi bisogno di un’etica che le “sostenga”? 
“Certamente. La vita civile è fatta di istituzioni e anche di regole, ma al centro deve sempre essere la persona, in grado di modificare regole condivise, ossia leggi, che consentono comportamenti non buoni, in alcuni casi addirittura pessimi, e di impegnarsi a tradurle nella pratica. La grande speranza è nella persona: nonostante il sistema sia gestito dall’alto, dalla grande finanza e dai grandi poteri, le persone hanno una grande responsabilità etica, quella di orientare con le proprie scelte il mondo in una direzione piuttosto che in un’altra”.

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