Di Francesco Rossi
Non può essere un’emergenza. L’accoglienza dei migranti sul nostro territorio – e, tra costoro, dei profughi fuggiti da conflitti in corso in varie parti del mondo – è piuttosto un fenomeno strutturale della società contemporanea. Eppure troppo spesso, come l’Europa lascia sola l’Italia a occuparsene, così varie parti della Penisola si mostrano indifferenti rispetto a quei territori che ricevono le ondate migratorie. “Diventa fondamentale una distribuzione sul territorio nazionale delle persone e delle famiglie di richiedenti asilo, che investa le Regioni, i Comuni e in essi le nostre comunità cristiane”, ha chiesto monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, parlando nei giorni scorsi alla Consulta nazionale delle migrazioni. “È impensabile – ha osservato – che un Paese con 60 milioni di abitanti non riesca a gestire l’arrivo di 35mila persone, quando sa accogliere 30 milioni di turisti in un anno, e che si chiudano anziché aprirsi le porte delle città”. Eppure, complice la campagna elettorale, forze politiche e primi cittadini fanno orecchie da mercante.
 
Tutti i Comuni hanno detto “no”. Un esempio? “Alla richiesta di accogliere alcune decine di profughi – ha scritto sulla ‘Difesa del Popolo’ il direttore, Guglielmo Frezza – tutti i Comuni della provincia di Padova hanno risposto sbattendo la porta. Non si presentano nemmeno ai tavoli di lavoro convocati dal prefetto, tanto ritengono la materia ‘indigeribile’ in periodo elettorale”. Eppure i numeri non sono certo da “emergenza”: 60 persone da sistemare in piccoli gruppi, da poche unità, per favorire non solo l’accoglienza, ma anche l’integrazione. “Se alcuni soffiano sul fuoco, facendo del rifiuto degli stranieri una bandiera, anche gli altri non sanno dire una parola chiara”, aggiunge Frezza al Sir, guardando al “no” unanime dei sindaci di ogni colore politico. Nei media passa tutto sotto silenzio: non bastano le morti in mare per tenere la notizia in prima pagina, figurarsi per uomini e donne che devono “solo” ricostruirsi una vita lontano dalla violenza. Semmai “a Padova – aggiunge Frezza – il problema è venuto fuori perché questo è un tessuto solidale”, e così a farsene carico sono stati Caritas e cooperative sociali. I sessanta, alla fine, sono stati accolti, ma prima o poi ne arriveranno altri e la questione si ripresenterà.
Manca un percorso d’integrazione. A dir la verità, all’egoismo di alcuni si aggiunge anche un sistema che non riesce a guardare oltre all’emergenza, e non si può dimenticare come recenti esperienze di accoglienza non abbiano dato i risultati sperati: per un po’ viene data la diaria, ma non c’è un percorso d’integrazione. Poi i soldi finiscono e resta innescata una “bomba sociale”. Era il gennaio 2013 quando alla “Casa a colori” della città di sant’Antonio è dovuta intervenire la polizia per sedare una rivolta: novanta i profughi africani reduci dalla guerra in Libia che erano da venti mesi ospiti nella struttura, “parcheggiati” dallo Stato che ha dato loro vitto, alloggio e una diaria di due euro e mezzo al giorno, finché, a fine 2012, il contributo è terminato e, improvvisamente, queste persone si sarebbero dovute arrangiare. “C’è una grossa paura legata alla mancanza di prospettive circa la gestione dei profughi”, lamenta il direttore della Caritas diocesana di Como, Roberto Bernasconi. In parole povere, una volta arrivati in una città è concreta la possibilità che, presto o tardi, lo Stato lasci sola l’amministrazione comunale nel farsi carico della situazione.
Accogliere, un dovere per i cristiani. Nel Comasco sono recentemente arrivati circa 200 profughi: la metà sono in Valtellina, accolti tra alberghi e strutture della Caritas. È poi passato un gruppo di 50 siriani, subito ripartito verso il Nord Europa, mentre altri 55 profughi, provenienti dall’Africa subsahariana, sono stati accolti a Como da parrocchie e in una casa-albergo delle Acli. “La Chiesa è stata lasciata sola nell’accoglienza”, osserva Bernasconi osservando come il rapporto con gli enti pubblici sia “difficoltoso”: ora, a complicare la situazione, ci sono di mezzo le elezioni e “i profughi danno fastidio”, ma anche dopo non è detto che la situazione migliori. “Come Caritas – chiosa il direttore della Caritas comasca – abbiamo un’esperienza nell’accoglienza che saremmo felici di mettere a disposizione, ma non troviamo interlocutori interessati”. Per fortuna che qualche eccezione c’è. Come a Thiene (Vicenza), dove il Comune ha dato l’assenso per accogliere alcuni profughi, presumibilmente 4. Le polemiche non sono mancate, ma il sindaco Giovanni Battista Casarotto e l’assessore al sociale, Maurizio Fanton, hanno semplicemente risposto “di essere cristiani prestati alla politica”, ritenendo come tali “che l’accoglienza per le persone che fuggono da scenari di guerra sia semplicemente un dovere”. Un dovere che non si può barattare con qualche voto in più.

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