Di Davide Maggioni
Ha vinto l’Anc, come previsto, ma lo scrutinio potrebbe riservare qualche delusione imprevista al presidente in carica Jacob Zuma e ai suoi compagni di partito. A un terzo circa dello spoglio, lo storico movimento di liberazione sembra aver ottenuto intorno al 60% dei voti nelle elezioni generali di ieri: con il passare delle ore la percentuale aumenta, ma la maggioranza dei due terzi, in cui Zuma sperava, resterà quasi certamente lontana, e nemmeno il risultato del 2009 (oltre il 65%) dovrebbe ripetersi. In grande crescita, invece, la Democratic Alliance, opposizione di centrodestra, guidata da Helen Zille: anche se il partito di riferimento di molti bianchi non raggiungerà, come pure aveva sperato nelle scorse ore, il 30%, il 25% verso cui sembra avviato significa 9 punti in più rispetto alle scorse consultazioni. Distante, con il 4%, il terzo partito, gli Economic Freedom Fighters di Julius Malema, leader di estrema sinistra. A favorire i partiti d’opposizione e a penalizzare l’Anc potrebbe essere anche l’affluenza, ferma al 72% e in calo rispetto a cinque anni fa. Ciononostante, ieri alcune sezioni elettorali sono dovute restare aperte fin oltre le 21, orario previsto di fine delle operazioni, per permettere a tutti di esprimere il voto. Tranquilla anche la situazione di sicurezza, nonostante i timori della vigilia, quando alcuni seggi a Bekkersdal, nel Gauteng, e nel KwaZulu-Natal erano stati dati alle fiamme. Chiuse le urne, per i vincitori è però il momento di affrontare i nodi irrisolti del Paese, in particolare quelli economici.
Problemi strutturali. “Tutti i problemi di questo tipo che esistevano prima della campagna elettorale, continueranno ad essere presenti – prevede Raymond Perrier, direttore del Jesuit Institute di Johannesburg – perché nessun partito ha fatto proposte davvero risolutive”. Questa, prosegue è anche la ragione per cui “gli Economic Freedom Fighters hanno destato interesse: sembrano avere delle soluzioni, che in realtà non sono buone, ma quando le persone sono preoccupate, cercano qualsiasi rimedio che abbia una minima possibilità di funzionare”. A peggiorare lo scenario, e a porre ulteriori sfide al prossimo governo, continua Perrier, contribuiscono anche fattori macroeconomici, che incidono sul costo della vita, “sempre più difficile da sopportare”, non solo per le categorie tradizionalmente più deboli, ma “anche per i comuni cittadini sudafricani”: è questo, conclude, uno dei motivi per cui “tra la popolazione c’è tanta rabbia”. Un altro fattore importante da questo punto di vista è la corruzione: secondo il direttore del Jesuit Institute, “quel che il governo dovrebbe fare per sconfiggerla è semplicemente cominciare ad affrontarla” e in questo senso la comunque scontata conferma di Jacob Zuma al vertice dello Stato non aiuta, perché – ricorda Perrier – il presidente in carica “è stato accusato da un procuratore di essersi impadronito di denaro pubblico”. Una mossa del genere, sintetizza lo studioso “mostra che non c’è un vero impegno contro la corruzione”, anche se si continua a parlarne.
“Nazione arcobaleno” e società civile. Il voto di ieri ha coinciso anche con il ventennale della giovane democrazia sudafricana, fondata sull’ideale della “Nazione Arcobaleno” sognata da Mandela. Anche in questo, secondo Perrier, l’Anc di oggi si sta allontanando in qualche modo dal sogno del suo storico leader: “la campagna dell’Anc ha mostrato uno spostamento dalla visione di un movimento che è sempre stato multirazziale – giudica – nella direzione di un partito dei neri, come se l’Anc avesse deciso di non poter più ottenere il voto degli elettori bianchi, coloured e indiani e si accontentasse di concentrarsi sul gruppo che costituisce la maggioranza della popolazione”. Nell’affrontare le sfide future del Sudafrica, però, riconosce il direttore del Jesuit Institute, può essere prezioso anche il contributo di realtà diverse dai partiti, come quelle della società civile. In questo senso le Chiese “continuano a giocare un ruolo importante nel campo dei servizi educativi”, nota. E aggiunge: “Parliamo di un contributo non enorme in termini di numeri, ma importante quando si tratta di mostrare che le scuole pubbliche gestite da organizzazioni religiose possono ottenere risultati migliori di quelle gestite dal governo utilizzando lo stesso budget”, rappresentando dunque un esempio “di ciò che si potrebbe fare nella fornitura dei servizi”.

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