CoppolaDi Vincenzo Corrado

“Ora il cuore degli scontri si è trasferito a 5 Km dal centro di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, a 2 km da dove si trova la Nunziatura: se gli scontri avvengono di giorno, si sente distintamente il crepitare delle armi automatiche; da poco più di una settimana gli scontri sono ripresi intensamente (non solo in quella zona, ma anche in altri quartieri della capitale) e non c’è giorno che non venga comunicato il triste bilancio dei morti e dei feriti…”. A raccontare al Sir il “dramma” della situazione è monsignor Franco Coppola, nunzio apostolico nella Repubblica Centrafricana e in Ciad. “Alcuni giorni fa – riprende il nunzio – sono state gettate delle granate all’interno di una casa dove si svolgeva una veglia funebre e uomini armati, schierati fuori, hanno sparato a tutti quelli che uscivano scappando… 20 morti… Sulla piazza davanti alla Nunziatura, qualche sera fa, c’è stata una dimostrazione popolare di protesta: hanno preso una ventina di copertoni e hanno dato loro fuoco, bloccando l’incrocio… Son dovuti intervenire i militari delle forze internazionali per disperdere la gente e spegnere i falò…”. Nonostante “questi tempi così difficili”, riferisce il vescovo, tanti sono i sacerdoti, i missionari, i religiosi e le religiose, “che hanno scelto di restare accanto al popolo”. Purtroppo, le violenze in questi ultimi giorni hanno colpito anche loro: Mercoledì Santo, è stato sequestrato per quasi 24 ore monsignor Desiré Nestor Nongo Aziagbia, vescovo di Bossangoa, con tre suoi sacerdoti; Giovedì Santo, don Christ Formane Wilibona, sacerdote di quella stessa diocesi, è stato fermato e ucciso. “Preghiamo – commenta amaramente il nunzio -, perché questo sangue, come quello di Gesù, gridi: ‘Perdona…!’”.

L’impegno dei religiosi. Un quadro drammatico, quello centrafricano, frutto della violenza di mercenari e fuorilegge provenienti da Ciad e Sudan – le milizie Seleka – e di quella degli Antibalaka, che per vendicarsi dei primi colpiscono tutti i seguaci del Corano. Nel mezzo, una popolazione prostrata dalla violenza. “I soldati delle forze internazionali – afferma il nunzio apostolico – cercano d’interporsi tra le due fazioni, ma l’odio e il desiderio di vendetta per i torti subiti, antichi o recenti, è talmente forte che queste milizie sono di fatto incontrollabili, anche perché si confondono con la popolazione. I responsabili religiosi, cattolici, protestanti e musulmani, si stanno dando tanto da fare per far comprendere alla popolazione che deve rinunciare a farsi ‘giustizia’ da sé e deve collaborare con le autorità per la cattura e la consegna dei colpevoli, ma i torti subiti sono troppo atroci, la sfiducia nello Stato troppo grande, per ora, per calmare gli animi”.

Vittime della violenza.
 La crisi, spiega il vescovo, ha avuto origine quando, nel 2013, mercenari e fuorilegge di Ciad e Sudan “sono penetrati nel Paese, hanno vinto l’iniziale debole resistenza dell’esercito del Paese e sono avanzati verso la capitale, distruggendo e saccheggiando tutto ciò che non era musulmano”. Il 23 marzo 2013 riuscivano a penetrare nella capitale e il loro leader si proclamava capo dello Stato. “L’esercito regolare e la polizia, sconfitti, si sono dissolti, lasciando il Centrafrica in mano a questa milizia che per 9 mesi ha continuato a imperversare sulla popolazione cristiana e animista, risparmiando solo i civili musulmani”, finché “nello scorso mese di dicembre è sorto un movimento popolare di autodifesa, gli Antibalaka, che stanno commettendo gli stessi crimini, e anche di peggiori, contro la popolazione musulmana e, dopo averla cacciata, esercitano una sorta di controllo mafioso sul territorio”. Ecco perché, afferma il nunzio, “molti musulmani cercano rifugio nei luoghi più sicuri e accoglienti: parrocchie, seminari, conventi… Solo nella capitale, Bangui, circa 120mila persone sono accampate in una quarantina di edifici religiosi. E ciò avviene anche a Bossangoa, Boda, Baoro, Bossemptele, Carnot…”.

Non è guerra di religione. A conferma di ciò il nunzio rilancia la testimonianza di padre Justin Nary, parroco della chiesa dei Santi Martiri dell’Uganda, l’unica di Carnot, una piccola città a poco più di 100 Km dalla frontiera con il Camerun. La storia di padre Justin è stata raccontata nei giorni scorsi dalla stampa. Il sacerdote ospita nella sua parrocchia un migliaio di musulmani. “È dalla fine di gennaio – dice il parroco – che accolgo sfollati in parrocchia. Sono quasi tutti musulmani. Ovviamente la nostra porta è aperta a tutti: non facciamo distinzioni di razza o religione. Noi dobbiamo accogliere, aiutare! E poi, anche far sapere al mondo della guerra che sta sconvolgendo il Centrafrica”. Come si può vedere, conclude monsignor Coppola, “la Chiesa ha aperto le sue porte e migliaia di profughi, sia cristiani che musulmani, vi si sono rifugiati. Non è questa forse la migliore dimostrazione del fatto che non c’è una guerra di religione nel Paese?”.

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