Politici che ascoltano, e poi parlano. Che si confrontano sulla base delle idee, anziché vomitarsi addosso insulti e disprezzo. Che intervengono sostenendo con vigore le proprie idee e quelle del proprio partito senza demonizzare gli interlocutori. Politici che badano alla sostanza, fatta di progetti e proposte, senza trascurare la necessità di farsi capire dall’elettore-medio. Politici con il senso dell’ironia ma, soprattutto, dell’autoironia. Che sanno sorridere senza apparire vuoti o superficiali, e che diventano scuri in volto quando si affrontano i drammi del presente: crisi, disoccupazione, Ucraina e Siria, migrazioni e instabilità mediorientale, diritti negati e ingiustizie sociali, xenofobia che avanza e nazionalismi minacciosi… Politici – donne e uomini – certo non privi di debolezze, non esenti da dichiarazioni contraddittorie o da braccia che s’allargano di fronte a una risposta che non sanno fornire. Politici che parlano di politica, di economia, di vita quotidiana, di strategie di lungo respiro, di scenari globali, senza rinfacciarsi sgradevoli particolari della vita privata e pubblica, senza lanciarsi epiteti irripetibili. Almeno da parte nostra che non siamo bigotti, ma semplicemente educati e rispettosi dei lettori.
Sogni ad occhi aperti? Speranze disattese di un elettore sfiduciato? Aspirazioni collettive deluse, specialmente nel Belpaese? No. Semmai buone impressioni tratte dai due dibattiti tra i candidati alla Commissione europea andati in onda – rispettivamente da Maastricht e da Bruxelles – grazie alla tv Euronews, alla rete radiofonica EuranetPlus e a internet il 28 e 29 aprile.
Jean-Claude Juncker (Popolari), Martin Schulz (Socialisti e democratici), Guy Verhofstadt (Liberaldemocratici) e Ska Keller (Verdi) hanno dato vita a due confronti – moderati da giornalisti e animati dagli utenti del web – inediti, specie per le abitudini italiane. Si è trattato pur sempre di campagna elettorale: ciascuno dei quattro ha portato le sue ragioni e si è detto più “appetibile” degli altri, senza inscenare quelle bagarre da osteria cui ci hanno abituato la televisione italiana e molti dei politici tricolori.
Non è “esterofilia”, ma la presa d’atto che la politica può essere civile, educata e persino argomento interessante da propinare al grande pubblico. Con qualche annotazione a margine. Uno: i candidati alla carica di presidente della Commissione sarebbero cinque, ma Alexis Tsipras, della Sinistra unitaria, ha declinato gli inviti. C’è da sperare che accetti i prossimi (sono previsti altri appuntamenti di questo tipo prima del voto del 22-25 maggio) per non far mancare la voce di un’altra parte di potenziale elettorato. Due: i quattro sfidanti rappresentano altrettante famiglie politiche tutte decisamente pro-Unione europea; gli euroscettici, i no-euro e i populisti – anche per l’assenza di Tsipras – non hanno portato il loro contributo (nel caso ne avessero uno). Tre: i partecipanti erano quattro, quattro non italiani; di per sé, trattandosi di candidati a un incarico comunitario, non ci sarebbe nulla di male, eppure ci si può domandare come mai nessun partito europeo annovera tra i suoi esponenti di punta un politico nato a Bisceglie, a Latina, a Savona oppure a Belluno. Quattro: è lecito domandarsi quanti dei 500 milioni di cittadini Ue hanno seguito questi due dibattiti e quanti vedranno gli altri? e quali sono le fonti di informazione diverse o alternative degli aventi diritti al voto? Cinque: perché le grandi tv nazionali, comprese quelle italiane, non hanno rilanciato i confronti svoltisi a Maastricht e a Bruxelles?

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