Di Bruno Cescon

La piazza del mondo è davvero a Roma? L’hanno disegnata o pensata dei geni ispirati da Pontefici che sognavano in grande; non potevano immaginare un abbraccio del Bernini che con il suo colonnato cingesse il mondo. Per questa ragione un futuro quasi escatologico, da tempi biblici, si è realizzato in termini reali e virtuali nel cuore storico del cristianesimo.
Papa Francesco lo ha compreso bene e, per questo, ha ringraziato i media, le piattaforme, gli hub di internet. Sono loro la condizione per la diffusione, finalmente “urbi e orbi”, della calda celebrazione dei quattro Papi, soprattutto dei due Papi proclamati santi prima dal popolo che dalla Chiesa gerarchica. I santi si fanno e si celebrano come mille, duemila anni fa, ma i fedeli, e sembra normale, pure i vescovi, forse qualche cardinale, con i loro sacerdoti, frati, religiosi e suore fotografano, si collegano con le loro chiese sparse nel globo terrestre a forza di clic, di immagini, di parole che mandano in tutte le loro chiese. C’è ormai una Chiesa nell’ambiente mediale, virtuale, specchio autentico (non rappresentazione) di quella reale.
È una Chiesa di popolo, devota, attenta, bisognosa di pregare, entusiasta, persino peccatrice ma aperta alla grande misericordia di Dio. Magari non conosce le finezze teologiche delle cattedre di teologia d’Europa. Non è senza cultura. Ha posto il cuore, il sentimento, lo slancio oltre le pretese così razionaliste delle élite cattoliche e di quelle neoilluministe.
È gente di antica tradizione cattolica o di recente conversione. Ecco i popoli dell’Est appena approdati a Roma dopo la caduta e le macerie del muro di Berlino. Tra essi eccellono i polacchi che hanno trasformato piazza Navona in una megasala di danza popolare e insieme religiosa coinvolgendo giovani, ragazzi e adulti. Controllati invece i francesi, guidati da preti che nella laicissima Francia per identificarsi nuovamente portano, pur giovani, lunghissime talari, nere. Pregano tutti compostamente nella chiesa del Caravaggio per eccellenza, san Luigi dei Francesi.
E tutti i gruppi si sono trovati a pregare e chiedere perdono. Esprimono secondo lo stile di Papa Francesco l’essenzialità della dottrina, sobrietà nei comportamenti, vicinanza e attenzione alle persone. Sentono il bisogno di “essere coraggiosi” testimoni come i due Papi santi dentro la società laica.
Occorreva disperdersi nelle piazze, lungo via della Conciliazione, nelle strade e vie laterali per vedere giovani, ma non molti anziani, famigliole anche con quattro figli trascorrere una notte all’addiaccio, dentro un sacco a pelo. Persino giornalisti, fotoreporter, di piccole e di grandi agenzie e di televisioni, incredibilmente si sono sottoposti ad una coda massacrante e lentissima, tre ore per gli accreditamenti e una alzataccia prima dell’alba, presentandosi puntuali alle quattro del mattino in piazza san Pietro per salire sulla posizione felice del colonnato San Carlo. Tutti convinti di stare dentro il fuoco della storia.
E quel fuoco si è acceso lì nella culla del cristianesimo, del cattolicesimo. Ormai multicolore, multiculturale. Basti solo pensare che soltanto nel secolo scorso sono entrati a far parte del cattolicesimo poco meno di 200 milioni di africani. Ma è pure cresciuto in Asia. I grandi eventi, che con un centro sacro, quale è Pietro, lo testimoniano al mondo. Papa Francesco interpreta il ruolo con semplicità di linguaggio e la fede di un pastore di periferia. “Con l’odore delle pecore appiccicato”. Nella gioia di una festa della fede da un milione di persone.

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