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Primo, sfamare i bambini poveri…

La crescita economica non sfama i bambini. Uno studio diffuso su Lancet sostiene che non esiste una correlazione tra aumento del Pil pro capite e diminuzione del tasso di denutrizione: prendendo in esame dati dal 1990 al 2011 provenienti da 36 Paesi diversi, 25 africani e 11 sparsi tra Caucaso, Sud America, Medio Oriente e Asia, una équipe di studiosi capeggiata da Sebastian Vollmer, del dipartimento di economia dell’Università di Göttingen, ha concluso che “il contributo della crescita economica alla riduzione della denutrizione in età infantile nei paesi in via di sviluppo è molto ridotta, ammesso che esista”. Per questo, sempre secondo gli studiosi, “i nostri risultati enfatizzano il bisogno di una focalizzazione sugli investimenti diretti in salute e nutrizione e di non fare affidamento sull’approccio cosiddetto ‘trickle-down’ di una strategia mediata dalla crescita per migliorare la nutrizione dei bambini”.
Fuori dal linguaggio scientifico, mettere le risorse disponibili al servizio della produzione di ricchezza anziché in servizi sociali e infrastrutture non è un metodo vincente per sfamare i bambini. Primo, perché per scoprire che la ricchezza non si distribuisce in maniera equa non occorre andare alle pendici del Kilimanjaro o del Caucaso, ma basta affacciarsi fuori dalla finestra. Secondo, perché i (pochi) benefici ottenuti con questa impostazione potrebbero arrivare troppo tardi: “Nel lungo termine siamo tutti morti”, scriveva John Maynard Keynes nel 1923.
Una persona che ha fame non ha bisogno dei soldi per acquistare il pane o della canna da pesca per pescare il pesce, quelli sono solo strumenti e mezzi per arrivare a soddisfare la vera necessità: pane e pesce. La canna da pesca e i soldi serviranno sì, ma in un secondo momento, quando a stomaco pieno si potrà pensare a come procurarsi da soli il necessario per sopravvivere. Un modello che non si scopre oggi e che nella Chiesa è praticato quotidianamente da migliaia di missionari e di volontari che si adoperano perché, prima, chi ha fame possa essere sfamato e, dopo, possa imparare a sfamare se stesso e, perché no, gli altri diventando ricchezza per il suo Paese.