Davide Maggiore

Organizzazioni umanitarie, comunità internazionale e realtà locali stanno unendo gli sforzi contro il virus Ebola. La grave febbre virale, in alcune varietà mortale in oltre il 90% dei casi, ha fatto la sua comparsa in Guinea negli scorsi mesi, probabilmente fin da gennaio, come riportato dal servizio d’informazione delle Nazioni Unite. È la prima volta che accade in Africa Occidentale, e da allora le autorità guineane hanno contato 122 casi sospetti e 78 morti, mentre sia la Liberia che la Sierra Leone hanno lanciato l’allarme per alcuni episodi avvenuti sui loro territori e il Senegal, a seguito di queste notizie, ha deciso di chiudere la frontiera con la Guinea.

Epidemia senza precedenti. “Stiamo affrontando un’epidemia di un’intensità mai vista prima per quanto riguarda la distribuzione dei casi nel Paese”, ha fatto sapere l’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere (Msf) tramite il suo responsabile dei progetti nella capitale guineana Conakry, il dottor Mariano Lugli. “Msf – ha ricordato il medico – è intervenuta in quasi tutte le sospette epidemie di Ebola negli ultimi anni, ma queste erano più contenute dal punto di vista geografico”. Quello che sta accadendo oggi, invece, “è preoccupante” per la sua “diffusione geografica”, che “complicherà fortemente gli sforzi delle organizzazioni che lavorano per controllare l’epidemia”.

L’impegno nella prevenzione. 
La mobilitazione internazionale è già partita: il 30 marzo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha fatto arrivare in Guinea più di 3,5 tonnellate di materiale sanitario. Si tratta in particolare di dispositivi di protezione monouso e disinfettanti: per la malattia non esiste, infatti, ancora una cura o un vaccino, nonostante una équipe internazionale di ricercatori (al lavoro in 20 ospedali di tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone passando per l’Uganda) stia accelerando i tempi per la produzione di anticorpi sperimentali che si sono dimostrati efficaci – sugli animali – in più del 50% dei casi. L’importanza del materiale protettivo e della prevenzione, però, non va sottovalutata: metà dei casi registrati, infatti, riguardano proprio gli operatori sanitari. “Questi aiuti sono essenziali” ha spiegato il dottor Lansana Kourouma, che a Conakry guida il dipartimento per le emergenze del Chinese-Guinean Friendship Hospital, perché in questo modo medici e infermieri “si sentono rassicurati” e possono rimettersi al lavoro “per aiutare i pazienti”. Tra le organizzazioni mobilitate c’è fin dall’inizio anche la Croce Rossa guineana, che ha inviato personale nelle zone coinvolte per informare la popolazione sui metodi di prevenzione e sulle pratiche che possono limitare la diffusione della malattia. “Ma abbiamo bisogno di più volontari – ha lanciato l’allarme Facely Diawara, capo del locale dipartimento della salute per l’organizzazione – non solo nelle aree già colpite ma anche nelle regioni che sono state finora risparmiate”, perché non siano raggiunte dal contagio.

Combattere anche l’emarginazione. Oltre ai sintomi spesso mortali, Ebola porta però con sé anche lo spettro dell’emarginazione sociale per chi è sospettato di trasmettere il virus. Dopo l’epidemia che ha colpito l’Uganda nel 2012, ad esempio, persino alcuni pazienti guariti dall’infezione continuavano ad essere evitati dai loro stessi parenti e amici. “Il nostro obiettivo principale è far terminare la paura e la stigmatizzazione aiutando la gente a evitare di farsi prendere dal panico”, spiega Panu Saaristo, capo della squadra di valutazione che la Federazione Internazionale delle Società della Croce e della Mezzaluna Rossa ha inviato in Guinea. “Ecco perché – ha proseguito – stiamo intensificando la nostra comunicazione e forniamo alle comunità informazioni chiave” per comprendere le caratteristiche della malattia. Formazione, protezione e prevenzione, in assenza di una cura, restano dunque le uniche reazioni efficaci ad un virus che il suo stesso scopritore, il belga Peter Piot, ha definito allo stesso tempo “altamente imprevedibile”, perché non si conosce con certezza l’organismo ‘ospite’ capace di scatenare il contagio, ma “facile da contenere” anche in assenza di “alta tecnologia”.

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