Cristiana Dobner

La comunicazione tocca la radice della persona, capace d’interloquire ed entrare in un confronto dialettico, serrato.
Qualora venga a mancare, inizia quel percorso all’indietro che porta all’inaridimento e, in fin dei conti, alla lettura integralista di se stessi, dei propri simili e di tutta la storia.
Quando poi chi comunica si rivolge ad ampio raggio e intende far conoscere e far riflettere, interviene la coscienza legata alla propria professione. Antecedente all’adesione a una visione religiosa o ecclesiastica, di qualunque tenore o colore.
Altrimenti la si potrebbe denominare una comunicazione apologetica e, comunque sia, viziata di un bel pregiudizio: io, noi, gruppo ecclesiale, Chiesa e magistero, comunque sia e comunque vada, va sempre tutto bene perché abbiamo ragione. Sempre a priori.
Sembra il dire di chi dia l’impressione di avere lo Spirito Santo in tasca e sia capace di manovrargli le ali, sempre pilotato dal pregiudizio suddetto.
Di questo passo, se non siamo periti, stiamo perendo: quanto soffocamento è venuto dalle gerarchie all’interno di un franco dibattito? Quanti sono stati lodati, premiati per il loro bigottismo gerarchico?
Lo Spirito indubbiamente assiste la sua Chiesa e chi della Chiesa si dice membro ma, soprattutto, indirizza alla Verità, costi quel che costi. Troppo comodo, e troppo palesemente giustificante, è dare una mano della vernice “volontà di Dio” a tutto e a chiunque, in un qualsiasi modo si trovi in disaccordo o in situazioni che richiedono la massima trasparenza e invece si ritrovano con i vetri sabbiati.
Detto con altre parole: è proprio la comunicazione bigotta che, al di fuori della sacrestia e dell’acqua santa, non trova altro che l’ante-sacrestia e il barilotto dell’acqua santa.
Ci si dà ragione, perché sempre ci si è dati ragione e lo spostamento dalla storia alla vita eterna è sempre a favore nostro.
La quadratura impeccabile del cerchio. Un cerchio però che strozza e impedisce la vita.
Nel campo dell’informazione e della comunicazione è davvero possibile che i figli delle tenebre siano più abili dei figli della luce? Capita, è capitato, facciamo in modo che non capiti più.
La partecipazione ad occhi aperti, di tutta la Chiesa, alla scena di questa nostra storia, con le sue turpitudini e le sue bellezze, non deve sbattere contro quella parola magica che ha ridotto a idolo lo stesso Creatore: “Per Dio”.
Vale a dire: bi-gotto, dall’antico tedesco per chi si confessava troppo spesso e poi non portava il suo contributo vitale e operoso nella propria società, ma ritornava su stesso per ancora confessarsi e vivere in quello spazio che si situa fra il proprio io e il proprio ombelico.
Se Dio crea, la creazione è continua, quindi sono gli eventi che parlano di Dio, perché non li lasciamo parlare e non siamo capaci di ascoltarli con una sensibilità che nasca dalla comunione con Dio e con i fratelli e non dall’ideologia bigotta e spruzzata di acqua santa e incenso? È una notevole battaglia perché richiede discernimento, pronto a conoscere il Vangelo e a riconoscerlo nei fatti concreti. Non paludati da pizzi e merletti.
La storia d’Israele conosce i profeti e i manigoldi, conosce il popolo che segue l’Altissimo e lo stesso popolo che lo tradisce. Rimane una certezza: l’elezione non muore e non diventa esangue. Così per la Chiesa, l’elenco delle nostre malefatte da cristiani è ben nutrito, ma anche quello di tutto il bene operato, Egli però non ci abbandona.
E oggi? Affermava monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei: “Noi abbiamo fior di professionisti che però molte volte, per un malinteso senso di ecclesialità, per un malinteso senso di fedeltà alla Chiesa, diventano più bigotti dei bigotti”. Se lo ascoltassimo e ci chiedessimo come uscire dal “malinteso senso” e trovarne invece quello vero? Stare vigili alla storia in nome di Dio, richiede attenzione, cura, preparazione, onestà.
Non è un tenere i piedi in due scarpe: salvo la storia, salvo Dio. Potrebbe risultare la quintessenza del bigotto.
Significa esercitare la ragione, irrobustire la fede, spendersi per la verità e avere il coraggio di esporsi.
Allora non ci si porterà al confessionale per tornare al confessionale e continuare a rivoltarsi fra un confessionale e l’altro, come un bigotto qualsiasi, ma sarà la Luce quella vera, che una volta passati nell’immersione di misericordia del sacramento della riconciliazione, illuminerà la coscienza e la renderà luce riflessa della Luce.
Chi così agisca potrà dirsi: “Bigotto mai e poi mai!”.

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