Sono, ad oggi, 31.574, ne mancano 68.426. Si tratta di raggiungere il quorum di firme necessarie per costringere la Casa Bianca ad esprimersi sul referendum che gli abitanti dell’Alaska discendenti dei russi stanno promuovendo per riportare la terra degli Aleutini alla madre patria europea. Insomma, via dagli Stati Uniti, annessione a Mosca. Giungendo a pochi giorni dal referendum con cui la Crimea si è gettata tra le braccia della Federazione russa, è chiaro che la vicenda assume prospettive interessanti.
Di fatto accade che un gruppo di cittadini residenti ad Anchorage, centro principale dell’Alaska, ritenendosi – forse giustamente – discendenti dei russi proprietari della “penisola dei ghiacci” fino al XIX secolo, vorrebbero “tornare a casa”.
Terra di approdo fin da epoche remote di popolazione di origini europee attraverso i ghiacci dello Stretto di Bering (non a caso esplorato nel 1728 dal russo, di origini danesi, Vitus Jonassen Bering, da cui prende il nome), l’Alaska fu progressivamente conquistata dagli zar. Probabilmente a corto di liquidi, questi la svendettero per pochi soldi agli Usa, i quali ne fecero il 49° Stato a stelle e strisce. L’acquisto, definito il 30 marzo 1867, fu allora ritenuto una leggerezza del governo di Washington, finché si scoprirono tra i ghiacci petrolio, gas, oro e una riserva ittica infinita. Così ogni ultimo lunedì di marzo, americani e aleutini fanno festa.
Ma in questo lunedì 31 marzo 2014 potrebbe accadere altro per via della raccolta di firme, che prosegue ufficialmente (provare per credere!) mediante il sito delle petizioni della stessa Casa Bianca. Le oltre 31mila sottoscrizioni sono state raccolte in una settimana e la scadenza ultima per raggiungere le 100mila firme è il 20 aprile. Sarà dunque una Pasqua di “nuova vita” per i secessionisti dell’Alaska, che guardano alla Crimea come a un esempio?
Fra l’altro a qualche inuit – discendente diretto dei progenitori siberiani – non dispiace il paragone con il referendum recentemente svoltosi in Veneto, anche se, tengono a precisare, non intendono immischiarsi in rivendicazioni sub-regionali essendo, loro, un fiero e libero popolo erede della Grande Russia zarista.
La petizione, denominata “Alaska Back to Russia” – rilanciata con entusiasmo dai media russi -, è frattanto rimbalzata in altre regioni del mondo a forte presenza russa. Ad esempio l’isola di Cipro ha visto sollevarsi la legione di finanzieri moscoviti che hanno fatto di Nicosia la base dei loro (si fa per dire) affari. Lo stesso dicasi per Sharm el-Sheikh e Hurgada, assolate spiagge egiziane, dove i turisti e i faccendieri russi trascorrono le loro vacanze, investendo cifre spropositate nei settori dell’edilizia e del turismo. Del resto se la freddissima Alaska tornasse sotto la bandiera russa, a Mosca non dovrebbero dispiacere un paio di calde colonie africane.

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