mafiaDi Paolo Bustaffa

Il 21 marzo di ogni anno diventi per legge “La giornata della memoria e dell’impegno”: è don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, a chiederlo a nome delle vittime della mafia che dal 1983 a oggi ha assassinato 900 persone, ha lacerato la vita di molte altre, ha sfregiato il volto di un Paese. La domanda viene anche dalle centomila persone, soprattutto giovani, che per non dimenticare – e per aiutare altri a non dimenticare – si sono ritrovate il 21 marzo a Latina per manifestare il loro sì alla legalità e alla solidarietà.
Un impegno, quello vissuto e proposto da Libera, che poche ore prima Francesco aveva richiamato, incontrando in una chiesa di Roma le famiglie delle vittime della criminalità organizzata compreso il bimbo di tre anni ucciso la scorsa settimana a Taranto. Diceva il Papa che un impegno così grande “deve partire da dentro, dalle coscienze, e da lì risanare, risanare i comportamenti, le relazioni, le scelte, il tessuto sociale, così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi, e prenda il posto dell’iniquità”.
E così ricordava che una “Giornata dell’impegno” va oltre le ventiquattro ore e diventa cultura della responsabilità, della condivisione d’idee e iniziative perché la libertà e la dignità di ogni persona vengano sempre e ovunque rispettate .
Parole che portano davanti agli occhi i volti di coloro che sono impegnati nei luoghi della sofferenza, dell’emarginazione e dell’ingiustizia, parole che riportano alla mente una riflessione di don Primo Mazzolari. “Ci impegniamo – scriveva il parroco della pianura padana – senza pretendere che altri s’impegnino, con noi o per suo conto, come noi o in altro modo. Ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci. C’è qualcuno o qualche cosa in noi, un istinto, una ragione, una vocazione, una grazia, più forte di noi stessi”.
I pensieri non fanno notizia ma la cronaca non è disattenta e racconta di innumerevoli persone che li coltivano in se stesse e li trasformano in scelte di vita personale e pubblica vincendo la paura, la rassegnazione, la fuga.
È una moltitudine di volti che bussa alla coscienza di un popolo e cerca un’alleanza anche nei media perché l’opinione pubblica rimanga vigile in una battaglia che nel nostro Paese è purtroppo ancora aperta e cruenta.
C’è dunque un immenso patrimonio di onestà, di sensibilità, di gratuità che si oppone al vuoto della criminalità, del malaffare e, come è accaduto in questi giorni, all’egoismo individuale.
Da questo patrimonio non può oggi venire un segnale forte anche per quella forma alta ed esigente di carità che si chiama impegno politico?
Non che questo segnale nel suo valore più profondo e ampio manchi, anzi è forte e incisivo, ma forse c’è un passaggio urgente da compiere in una stagione intristita dalla crisi e dalla mancanza di speranza.
La guida politica nel nostro Paese è sempre stata radicata nel terreno umano, culturale e spirituale della gente, delle comunità locali, del territorio e questo radicamento ha consentito di aprirsi anche ai grandi orizzonti, alle grandi visioni.
Da esperienze incarnate nella fatica di vivere di un popolo non può forse venire una ripresa dell’impegno politico inteso nel suo specifico significato di servizio alla città, al bene comune?
Francesco nella “Evangelii gaudium” scrive: “Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima”.
È una preghiera, è un pensiero, è un appello. La cronaca attende di raccontare le risposte, cioè i fatti.

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