eroinaDi Giuseppe Del Signore

“E io volevo morire. In realtà non aspettavo niente altro che quello. Non sapevo perché ero al mondo”. Nel 1979 Christiane F. offriva al mondo una visione dall’interno, lucida e crudele, del girone infernale degli eroinomani: minorenni morti di overdose in sporchi bagni pubblici, ragazze e ragazzi risucchiati in un circolo vizioso di marchette e buchi, lo scopo di un’esistenza ristretto a tal punto da restare appeso alla punta di un ago. A 35 anni dall’uscita di “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” forse si credeva che il conto con il “brown sugar” fosse saldato. Invece l’indagine Espad-Italia 2013 del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa “riscopre” l’eroina: sono 36mila i ragazzi italiani che hanno sperimentato almeno una volta una sostanza oppiacea, dal 2009 il consumo di eroina è tornato a salire e lo 0,7% dei ragazzi (15mila) ne è un consumatore abituale.

Allarme sociale. “Ma sono dati ottimistici – commenta Roberto Mineo, presidente del Centro italiano di solidarietà don Mario Picchi – da nostre indagini risulta un fenomeno ancora più grave. Da due anni e mezzo lancio l’allarme inascoltato: la madre di tutte le droghe è tornata. Sta riprendendo prepotentemente le piazze di Roma: San Lorenzo, Tor Bella Monaca, Pigneto. Nei primi tre mesi del 2014 sono già 12 i morti per overdose nella capitale ed è solo la punta di un iceberg che riguarda tutta Italia. La pressione militare in Afghanistan si sta allentando e centinaia di migliaia di tonnellate di oppio prenderanno la via dei Balcani per arrivare sotto casa, un’ondata che troverà impreparati i nostri giovani. I ragazzi di oggi non sanno niente di questa sostanza e neppure i loro genitori”. Manca il retroterra culturale: “Dall’esperienza che abbiamo – afferma Luciano Squillaci, vicepresidente di Federazione italiana comunità terapeutiche – vediamo un serio problema legato alle fasce giovanili. Nelle scuole italiane l’emergenza c’è ormai da anni, nell’assoluto disinteresse per l’argomento”.

Stato, famiglia, istituzioni non pervenute.
 “Mi chiedo – dice don Antonio Mazzi, fondatore della comunità Exodus – dove sia finito il controllo del territorio. Non scarico la responsabilità sulle Forze dell’ordine, ma sugli enti locali sì. Dovranno farsi qualche domandina e anche noi preti dovremmo chiederci che fine hanno fatto gli oratori”. I tagli alle risorse scaricano il peso sui centri di recupero. “Le comunità continuano a lavorare molto bene – afferma Giovanni Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII – però si è ridotto di molto l’invio da parte dei servizi sociali, perché le risorse, i fondi, sono stati spesi e la sanità è alle corde”. Nell’assenza delle istituzioni, perché, spiega Squillaci, “il problema vero è di carattere educativo, da quando non esiste più il fondo nazionale delle droghe (dal 2000, ndr) non c’è più un euro per la prevenzione. Lo Stato ha smesso d’investire nei giovani e uno Stato che non investe nei giovani non ha futuro”. “Il disagio è enorme – argomenta Mineo – noi che siamo in prima linea sentiamo il rumore di fondo di una situazione sociale che potrebbe esplodere”.

Uno, nessuno, centomila. 
Senza prospettive, senza sostegno i giovani sono naufraghi nella società liquida, odierna selva oscura. “Forse – ipotizza don Mazzi – i ragazzi tornano a usare la droga perché si sentono così anonimi che vogliono urlare per essere ascoltati. Alcuni suicidi spettacolari credo siano messaggi disperati dei nostri ragazzi. Brutalmente, noi adulti siamo più immaturi dei nostri figli: presi da problemi reali e irreali, li abbiamo lasciati in un angolo, a badanti e nonni”. O agli schermi touchscreen: “I giovani sono allo sbando – rincara Mineo – non c’è più un riferimento: lo Stato, le famiglie, la scuola non riescono più a proporre un valore. Il referente è il dio smartphone, non si crede in altro”. Così la gioventù si ritrova dispersa, ma senza che ci sia un novello Virgilio a traghettarla dall’inferno alle porte del paradiso. “La droga – dichiara Squillaci – è una proposta forte, il nostro mondo adulto non è in grado di proporre percorsi altrettanto forti”.

L’alternativa esiste? 
Stupisce lo scoramento degli operatori per un fenomeno, spiega don Mazzi, “esploso dall’oggi al domani e che mi fa ricordare parco Lambro quando arrivai a Milano”. “La scelta di divertirsi in questo modo – ammette Ramonda – distrugge il futuro dei giovani e della società. È un fenomeno impegnativo da affrontare, soprattutto sul versante educativo”. Un vuoto di riferimenti che lascia indifesi di fronte alla sostanza che, articola Mineo, “crea la dipendenza più forte tra tutti gli stupefacenti”. E che conviene di più: “L’eroina – fa un paragone Mineo – è un’operazione di marketing, come un profumo nuovo. Prima andava un profumo forte, la cocaina, ora un profumo dolce. L’effetto è l’opposto di quello adrenalinico della cocaina, la gente vuole stare tranquilla adesso. Si anestetizza”. E, una volta anestetizzata, è davvero più tranquilla?

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