cacciamiDi Paolo Bustaffa

“Quella del giornalista è la nostra seconda vocazione! Se non avessimo avuto la fortuna di indossare la veste nera, ecco la nostra passione: le rotative di un giornale”. È un giovanissimo don Giuseppe quello che dalle pagine di un foglio parrocchiale ciclostilato, “Il faro”, tuona le sue idee, già chiarissime, sul giornalismo e sulla comunicazione. È il 15 ottobre del 1944. “Il faro”, giornalino di tre pagine dell’oratorio San Giustino di Grignasco, è stampato, come si legge nel frontespizio, “in tempo di guerra quando i suoi impianti elettrici non vengono bombardati o fatti saltare”. È la prima testimonianza del giornalista Giuseppe Cacciami, allora appena ventenne e non ancora consacrato sacerdote.
“Il guaio di questo tipo di uomini, che è anche il loro pregio – commentava il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, all’omelia dei funerali di don Giuseppe Cacciami celebrati il 19 marzo 2012 – è quello di dire (e scrivere) ciò che pensano e di pensare ciò che dicono (e di scriverlo). Ecco il guaio che è anche il pregio del grande giornalista! Più semplicemente direi di ogni grande uomo”.
E di quest’uomo che ha vissuto il sacerdozio con un amore sconfinato e sempre nella consapevolezza che il giornalismo era la forma da lui scelta e preferita per esprimerlo, un prete amico diceva: “È stato un infaticabile rabdomante, alla ricerca della sorgente zampillante e ha stimolato i suoi giovani, i suoi collaboratori alla ricerca della verità, sempre alla luce del Vangelo”.
Sono trascorsi due anni dal 17 marzo 2012, giorno della morte di don Giuseppe Cacciami: al significato più alto del fare memoria alla luce della fede si aggiunge quello di fare memoria alla luce della sua storia personale, della storia del suo territorio, della storia del nostro Paese e della nostra Europa.
Non si tratta di fermarsi ai molti ricordi che fanno comunque parte dell’esperienza della tenerezza nei rapporti tra le persone ma di cogliere anche solo un frammento del suo pensiero e del suo impegno radicati nell’attualità e nello stesso tempo orientati al futuro.
Difficile però riassumere in breve il messaggio di uno dei padri della Federazione Italiana settimanali cattolici, del Servizio Informazione Religiosa, dell’Unione cattolica internazionale della stampa, della famiglia Studenti il Chiostro in Verbania-Intra e del settimanale “L’Azione” della diocesi di Novara?
Si può tentare di raccoglierlo in due verbi: vibrare e lottare.
Vibrare, cioè avere passione per le vicende umane e scorgere in esse, anche quando buie e angoscianti, le tracce della presenza di Dio e raccontarle con linguaggio giornalistico, linguaggio dell’umiltà e mai dell’arroganza, linguaggio della retta coscienza e mai dell’ideologia.
Lottare, cioè avere il coraggio di guardare negli occhi il male e l’errore, denunciarne con fermezza la presenza, ma non lasciare mai al male l’ultima parola e per questo far emergere nella cronaca la verità, la bellezza e la bontà. Sempre con il linguaggio laico di un giornalismo impastato di umanità.
Vibrare e lottare: due verbi, tra i più cari a don Giuseppe Cacciami, che fanno anche giustizia di frettolose affermazioni per le quali un padre è da consegnare al silenzio dell’archivio perché tutto cambia velocemente e quindi occorre guardare avanti. Ma quella di un padre fondatore quale è stato questo prete giornalista è la voce di chi appartiene anche al futuro perché ha vissuto dentro di sé l’esperienza dell’eterno. Ecco, quella di don Giuseppe Cacciami è un’eredità che, riassunta in due verbi, è un’eredità preziosa e che scotta nel cuore e nelle mani di chi vive la professione di giornalista come sfida a fare della gioia del Vangelo la notizia del giorno.

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